“L’instinct du déséquilibre”, la poesia dell’essenziale

“L’instinct du déséquilibre”, la poesia dell’essenziale

Domenico Colosi

“L’instinct du déséquilibre”, la poesia dell’essenziale

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sabato 05 Marzo 2016 - 10:49

Presentato a Messina in prima europea, il lavoro della compagnia francese Ieto sorprende per la delicatezza del tocco e l’innata abilità nel coniugare lirismo e quotidianità

Il circo non si descrive. Un volteggio, sfida alle leggi della gravità, non può trovare il suo riscontro effettivo in una semplice frase: la sintassi impone le sue regole, un paroliberismo futurista si avvicinerebbe probabilmente al dunque senza tuttavia mai incontrare l’oggetto della propria ricerca. Assi di legno di diversa altezza trascinate sul palco, spericolate acrobazie, una donna arrampicata su una pertica, una danza delle scope espressa nella semplicità di un equilibrio che si fa poesia quando l’elemento umano incastra il gusto per il bizzarro o il nonsense performativo. Ancora lontani dal rivelare la reale potenza dello spettacolo.

Presentato in prima europea al Teatro Vittorio Emanuele, “L’instinct du déséquilibre” è il nuovo prodigioso lavoro della pluripremiata compagnia francese Ieto: diretta da Christian Coumin per la regia di Patrice Lecusson, l’opera narra con lievi tocchi una storia di rinascita all’indomani di una catastrofe, con il domestico e l’usuale riadattato al di là di ogni convenzione. Sébastian Brun, Fnico Feldmann, Itamar Glucksmann e Alys Marchi i quattro sopravvissuti, volti da film dei fratelli Dardenne per una progressione coraggiosa verso un mondo di collettivismo svincolato da significati espressamente politici: semplice consorzio umano dove l’inventiva trionfa sui limiti, il poetico sul pragmatismo. Nessun gioco fine a se stesso, ma strenua collaborazione in ogni piccolo gesto: i quattro protagonisti, co-creatori dello stesso lavoro, sfidano la fisica per giungere a minuscole soddisfazioni apparentemente prive di senso, ma testimonianza dell’assurdità della resa. Danza e spirito circense si alternano nei vari quadri proposti, tra intuizioni felici ed evitabili lentezze: un’ora di spettacolo scandita dagli applausi a scena aperta del folto pubblico presente, spensieratamente soddisfatto per un lavoro caratterizzato da una dolcezza probabilmente inattesa.

Scope, aspirapolvere, ceste, assi: il lirismo sgorga dal quotidiano, il poetico dall’essenziale. Sul ponte di una nave, o su una zattera alla deriva, cullati dalle note di Maxime Denuc verso la terraferma della realtà: la stabilità come difficile conquista, tra i ghirigori di un’umanità da attraversare con il coraggio di un equilibrista sospeso nel vuoto.

Domenico Colosi

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