Arrestato scafista. Dalla prigione in Libia agli aiuti di sconosciuti: ecco le testimonianze dei sopravvissuti

Arrestato scafista. Dalla prigione in Libia agli aiuti di sconosciuti: ecco le testimonianze dei sopravvissuti

Veronica Crocitti

Arrestato scafista. Dalla prigione in Libia agli aiuti di sconosciuti: ecco le testimonianze dei sopravvissuti

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mercoledì 24 Giugno 2015 - 11:40

Alcuni hanno raccontato che, dopo aver attraversato Somalia, Sudan, Etiopia, sono giunti in Libia per essere arrestati. Altri invece, cercando di racimolare il denaro per partire, hanno fatto operai e pastori. Molti di loro sono stati sfruttati, maltrattati ed anche feriti.

Si chiama Mostafa Abdel Azim Mahmoud Aboli Kricha, è un egiziano, ha 41 anni e nel 2011 aveva già tentato di entrare in Italia con un altro nome e un’altra nazionalità. E’ lui lo scafista finito ieri nel carcere a Gazzi poiché accusato di aver guidato quei barconi fatiscenti, in mezzo al Canale di Sicilia, su cui erano trasportati i 521 migranti sbarcati al Molo Marconi dalla nave militare irlandese Le Eithne. Ad incastrarlo sono state le determinanti testimonianze dei sopravvissuti raccolte per tutto il pomeriggio di ieri dagli agenti della Squadra Mobile di Messina.

Storie che talvolta rasentano la triste incredibilità, quelle raccontate dai ragazzi, per lo più giovanissimi, arrivati ieri in città. Avevano 18, 19, massimo 20 anni, ed alle spalle un viaggio durato, nella migliore delle ipotesi, mesi. Ognuno di loro aveva la propria storia. C’era chi, dopo aver attraversato Somalia, Sudan, Etiopia, era arrivato in Libia per essere arrestato. C’era chi, cercando di racimolare il denaro per partire, aveva fatto l’operaio, il pastore ed è stato sfruttato, maltrattato e perfino ferito. E c’era chi, più fortunato, è stato invece accolto in una moschea o aiutato per strada da perfetti estranei.

Come Said che ha raccontato di essere stato aiutato da una coppia a raggiungere Tripoli e, dopo aver dormito una notte in una moschea, di essere stato accolto a casa dell’imam per una settimana. Said ha anche lavorato in un autolavaggio per raccogliere gli 800 dinari poi consegnati ad un libico di nome Ahmed. “Mi è venuto a prendere e mi ha portato nel suo appartamento – ha dichiarato – e poi mi faceva cambiare casa fino a quando due giorni fa il 21 giugno mi ha condotto verso le 3 del mattino su una spiaggia vicino Tripoli dove ci hanno fatto salire su piccoli battelli a gruppi di 10 persone e ci hanno portato al largo dove ci attendeva il barcone in legno”. Said è uno di quelli che ha raccontato di non voler restare in Italia, poiché il suo desiderio è raggiungere la Germania.

La storia di Luke, nigeriano, invece è diversa. A lui non è andata bene come al suo “fratello” Said. Luke è rimasto in carcere per due mesi in Libia, poi è stato liberato, ma non ha mai smesso di credere in un futuro migliore. Quando è riuscito finalmente ad organizzare il viaggio, ha raggiunto la spiaggia insieme ad altri: “…c’erano diversi libici che, armati di mitra, ci minacciavano per farci salire su un gommone…io non volevo salire perché eravamo in troppi e non sapevo nuotare, ma dato le mie proteste, venivo picchiato, legato per i piedi e coperto gli occhi con una benda per farmi calmare, benda che mi toglievo io quando sentivo che c’era una nave che ci stava soccorrendo…”. Luke ora sta bene, è stato medicato e visitato. Vuole andare in Svizzera.

Dei 521 migranti giunti ieri in città, molti hanno preso alloggio nella struttura del Pala Nebiolo dell'Annunziata ed all'ex Caserma Gasparro. Resteranno lì pochissimo perché, come spesso accade, la città di Messina per loro è solo un passaggio, mai la meta. Altri 200 profughi, invece, ieri stesso sono stati trasferiti presso altre strutture del Nord Italia. (Veronica Crocitti)

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