La festa dei senza lavoro nell’era della spesa su Marte

Festeggiare il 1 maggio ormai è come festeggiare San Valentino dopo che il tuo amato bene ti ha lasciato a pochi metri dall’altare. A parte l’occasione per la gita fuori porta, l’abbuffata di rito e la fila chilometrica con 3 ore d’attesa dopo la galleria del Telegrafo non resta niente della festa originaria per il lavoro. Quanto accaduto a Messina, e cioè il fatto che l’entusiasmo di un gruppo di giovani che aveva organizzato il concerto a Piazza Duomo in analogia a quello storico di Roma, sia stato smorzato dalle poche migliaia di euro necessarie per pagare la Siae costringendoli a dirottare verso la meno “spettacolare” Officina, è simbolico di una situazione drammatica. Ai giovani messinesi non è stato possibile neanche realizzare questo piccolo sogno, questa piccola speranza, questa possibilità di accendere una fiammella, un sorriso. Che senso ha celebrare la festa del lavoro nell’era della disoccupazione, della precarietà, della disperazione? Che senso ha oggi, quando la disoccupazione giovanile sfiora in Italia il 43%, i 50enni licenziati o gli imprenditori sul lastrico si tolgono la vita, le aziende e le fabbriche chiudono, i giovani che vogliono scommettere su sé stessi vengono crocifissi dalla burocrazia e dalla banche, i precari protestano inutilmente in ogni piazza, e il lavoro vero si sposta verso terre sempre più lontane dalla nostra?

I più giovani neanche sanno perché nel mondo si celebra dalla fine dell’800 la festa del lavoro. Non sanno che a Chicago, nei primi giorni di maggio del 1886, la rivolta di Haymarket, con gli operai che protestavano davanti alla fabbrica di macchine agricole, fu soffocata nel sangue. Non sanno che un anno dopo, sempre a Chicago, quattro sindacalisti e quattro anarchici furono impiccati per aver organizzato lo sciopero dell’1 maggio del 1886 per le otto ore di lavoro. Pochi dei più giovani sanno che in Italia la festa fu soppressa nel ventennio fascista e dopo la guerra, l’1 maggio del 1947, gli uomini di Salvatore Giuliano spararono sui lavoratori e i manifestanti a Portella della Ginestra, uccidendone 11 e ferendone 50. Allora le battaglie erano per condizioni umane nei luoghi di lavoro, per il rispetto dei lavoratori e della loro dignità. Allora il “lavoro” c’era. C’erano le braccia, il sudore, le speranze di migliorarne le condizioni e le regole. Oggi il “lavoro” è una parola archiviata, come parlare di un fantasma o dei dinosauri scomparsi nell’era glaciale. Non può esserci il sapore di una festa se una crisi devastante ed una politica incapace e rapace hanno creato una distanza abissale tra i pochi ricchi e privilegiati e le masse dei poveri. Se Marx tornasse in vita non saprebbe più neanche da dove cominciare per scrivere il nuovo Capitale. Oggi non solo non c’è più il lavoro ma quei pochi “lavoratori” (intesa come categoria) sopravvissuti a decenni di follia strategica di politiche del lavoro, vengono tartassati e dissanguati. I redditi da lavoro sono diventati l’unica “banca” alla quale attingere per sanare casse rese esangui da sistematiche rapine. Se un giovane disoccupato ma pieno di entusiasmo oggi decidesse di investire sul suo talento e le sue idee, verrebbe lentamente ucciso dalla burocrazia, costretto a tasse, imposte, autorizzazioni anche solo per spiegare per quale bizzarro motivo ha deciso di credere in sé stesso. Tra poco si inventeranno l’autocertificazione della capacità di sognare, pur di giustificare un apposito ufficio pubblico con tanto di impiegato, fila dietro la porta e dirigente a capo che si becca l’indennità di risultato. Se un imprenditore innamorato della propria terra decidesse di non licenziare nonostante la crisi ed anzi investire nelle risorse umane, verrebbe lentamente strozzato dai lacci della burocrazia e dalle corde delle banche. Poi però, quello stesso giovane e quello stesso imprenditore se si allontanano dieci centimetri dall’Italia fanno successo e realizzano i loro sogni.

Chiamiamola festa di primavera, festa del pic-nic, festa del primo sole, ma non chiamiamola più festa, perché non c’è allegria in questo presente nero e in questo futuro grigio.

In questo clima mi ha fatto tenerezza, non sono neanche riuscita ad arrabbiarmi, vedere la deputata Pina Picierno, capolista del Pd alle Europee, nella circoscrizione sud, l’altra sera a Ballarò, esibire con candore disarmante uno scontrino per la spesa di 80 euro, sostenendo che, con quei prodotti “si fa la spesa per due settimane”, con riferimento al bonus da 80 euro mensili voluto da Renzi. Ecco l’elenco dello scontrino: 3 litri di latte, 5 baguette, 2 confezioni di fette sceltissime da 400 grammi l'una, macinato per il ragù, bocconcini di vitello, filetto d'acciuga, un vasetto di nutella, rucola, saccottini alla fragola, tortellini, pane, biscotti, uova, salmone affumicato, parmigiano, pastasfoglia, zucchine, mele, succhi di frutta, olio, coca cola, polpa di pomodoro, tarallucci. Se il governo mi mette in busta paga ogni mese 80 euro in più sono felice, ma non rientro nella categoria dei destinatari. Sono felice per loro e spero che il bonus venga esteso anche ad altre categorie, ma non prendeteci per il naso. Capisco che una parlamentare con uno stipendio e privilegi come quelli della Picierno non abbia idea di cosa sia la vita normale e la spesa per una famiglia. D’accordo, sono una che mangia abbastanza, ma vi assicuro che dovendo fare la spesa per me, mio marito e mio figlio, posso anche spendere 80 euro e magari al posto della Nutella ci metto il Galbanino, ma non ci campo affatto due settimane. Forse sono una spendacciona e quando entro in un supermercato cedo a tutte le tentazioni, ma insomma, anche andando all’hard discount, i soldi se ne vanno. Mi chiedo tra l’altro in quale supermercato di Roma la Picierno sia andata e come intenda fare il ragù senza le carote, che gli costerebbero almeno un euro in più, e cosa voglia mettere dentro la pasta sfoglia, perché nella lista non ne vedo il contenuto, o con cosa voglia condire i tortellini visto che la polpa di pomodoro l’ha finita col ragù. Magari, prima di fare la spesa avrebbe potuto telefonare a Benedetta Parodi per avere le idee più chiare. Né può pensare che per due settimane tre persone vadano avanti a saccottini e tarallucci…

Grazie per gli 80 euro, ma impegnatevi di più e meglio, ad esempio per tagliare dove ancora c’è da tagliare. Per favore, dall’alto di una casta sempre più lontana dalla vita reale, non ci prendete per il naso. Se andate a fare la spesa su Marte, almeno indicateci la strada su google maps.

Rosaria Brancato