Quattro anni dopo, la mente al passato e uno sguardo al futuro

Era tardo pomeriggio quando iniziò a piovere. Un temporale di fine estate che, dopo tanto caldo, quasi si desidera. Quello però, a prevederlo, non lo avrebbe desiderato nessuno. Mai. La pioggia è tanta, tanta che non se n’è mai vista, ma nessuno pensa al peggio. La pioggia non si ferma, mentre le persone chiudono bene porte e finestre, altre sono di ritorno nelle loro case, altre ancora – per fortuna penseranno col senno di poi – sono invece lontane e basta. La pioggia non si ferma. Nessuno poteva prevedere quello che sarebbe successo di lì a poco. Alle 18 aveva cominciato a piovere, alle 20 erano caduti 300 mm di pioggia.

Acqua che – diranno poi gli esperti – di solito cade nell’arco di sei mesi. Un’alluvione-lampo è stata definita, un “cumulonembo killer”. E’ arrivata e dopo tre ore si è portata via vite e case, montagne e fiumi, speranze e innocenze. La provincia è in allarme, le montagne crollano, le persone piangono, l’agitazione sale, come fare, come salvarsi, dove passare la notte. Gli sfollati quanti sono? 300, 400, 1000… Dov’è mia moglie, mio padre, mio figlio? La pioggia è arrivata e dopo tre ore si è portata anni vissuti e anni da vivere. Troppo presto, sempre troppo presto. Perché improvvisa, tragica, senza rimedio. Non piove più, ma non c’è più luce e il telefono non funziona e non si può dormire con tutta quella paura e non si può dormire con tutto quel dolore. Non piove più, ma se chiudi gli occhi poi rischi di sognare e se abbassi la guardia poi rischi di sprofondare. Non piove più, ma risuonano le sirene dei carabinieri e delle ambulanze e poi la protezione civile. Non piove più – ma se poi ricomincia – no, non piove più.

Il giorno dopo, la vedi, non la puoi nascondere alla luce del sole. E’ la distruzione. C’è chi è vivo per miracolo, c’è a chi non è bastato neanche quello. Ma tutti hanno sulla pelle le stesse cicatrici e gli occhi nuovi. Le pupille atrofizzate da troppe lacrime e il corpo che incede pesante, sprofondando tra il fango che ha sporcato tutto quello che c’era e non è più. Ma bisogna rimboccarsi le maniche, ripulire, ripulirsi. C’è bisogno di aiuto, tutta la provincia accorre. Bisogna ricostruire, ricostruirsi. Sono passati quattro anni e noi, oggi, possiamo solo ricordare. Il dolore non se ne è andato, c’è ancora un territorio mezzo stravolto a testimoniarlo, e su quel territorio ricade il dolore ad ogni pioggia che, puntualmente, ogni anno arriva in questi giorni. La memoria è importante, la memoria del cuore. Poi, bisogna andare avanti. C’è una speranza, si chiama futuro, rimasto inceppato nelle parole al passato.

Giusy Briguglio