Se il no al Ponte ci fa somigliare all’ ultimo giapponese in una guerra che non c’è

Premessa: credere a quanto dice Renzi sul Ponte, in piena campagna referendaria, è come credere che Babbo Natale entri dal camino di casa e ci porti i doni sul serio.

Fino al 5 dicembre considero quelle dichiarazioni alla stregua della quattordicesima ai pensionati, del taglio alle tasse e alla cellulite, dell’abolizione definitiva dell’Imu e della sfortuna ed al fatto che se vince il sì saremo tutti belli, alti, giovani, biondi e con gli occhi azzurri.

Detto questo penso invece che, dopo 30 anni, sia il caso di affrontare in modo laico il tema del Ponte sullo Stretto.

Infatti è pur vero che Babbo Natale non esiste con la pancia, la barba bianca, la slitta, ma i doni sotto l’albero arrivano realmente

Sono stata una no pontista convinta, non tanto per passione quanto per disincanto. Più che la tutela degli uccelli migratori mi spaventava la posa della prima pietra. Ho sempre pensato che dopo la prima pietra, nella Messina delle incompiute, avrebbero messo la decima e la centesima pietra ma poi la cosa si sarebbe fermata lì per i secoli dei secoli lasciandoci la città come un cantiere aperto.

Amo la cartolina dello Stretto senza il Ponte, con il pilone che svetta a Torre Faro tra cielo e mare, ma amo ancora di più la mia terra e mi si spezza il cuore a vederla morire anno per anno.

Ho partecipato ai cortei no ponte degli anni ‘90 più da ambientalista che da cronista ed oltre 20 anni fa le mie migliori litigate le ho fatte con Enzo Garofalo, si pontista convinto da sempre. Temo le infiltrazioni mafiose oggi come allora, ma mi fa più terrore sapere che nei 30 anni di no al Ponte Messina ha perso 40 mila persone andate via per lavoro, per studio, per vivere o sopravvivere. In quasi 30 anni ho girato il mondo ed ho visto miriadi di ponti e terre felici e ricche di infrastrutture. Ogni volta che tornavo da questi viaggi Messina era sempre più irraggiungibile, sempre più isolata. Ogni volta un treno un meno, una nave in meno, una Metromare in meno, un disagio in più.

Rientrando da Roma, a fine settembre, a causa dello sciopero Alitalia sono stata costretta a prendere un treno che arriva a Villa San Giovanni in un orario normale per il resto del mondo ma non per le Ferrovie. Giunta a Villa, insieme a decine di messinesi, siamo scesi correndo dal vagone, con trolley, valigie, borsoni, inciampando sulle scale mobili della stazione, rischiando la vita lungo il percorso per non finire sotto auto e tir. Come una folla che scappa da un disastro siamo arrivati tutti senza fiato alla biglietteria della Caronte, abbiamo pagato 2.50 a persona e sempre correndo siamo saliti a bordo della nave,valigie, trolley, borsoni in mano, per poi arrancare sulle ripide scale. Abbiamo toccato suolo mezz’ora dopo,zig-zagando tra gas di scarico di camion e tir. Finalmente a casa.

E mi sono detta: ma davvero il problema di Messina è il Ponte?

O piuttosto con la scusa che siamo contrari al Ponte ci hanno fatto crogiolare nella nostra antistoricità e ci hanno fregato lasciandoci nel Pleistocene delle infrastrutture?

Nei giorni scorsi 16 associazioni hanno organizzato una conferenza stampa per ribadire la loro posizione favorevole all’opera. Dopo decenni di battaglie ci siamo ritrovati con un pugno di mosche in mano e con l’amaro in bocca nel vedere i nostri figli che vanno via. Così ho fatto alcune riflessioni che voglio condividere con i lettori di Tempostretto. Non ho la verità in tasca, ma del resto nessuno ce l’ha.

1)Dicevamo no al Ponte sì alle infrastrutture- 20 anni dopo non hanno fatto né l’uno né le altre. Non ci hanno fatto neanche le opere di compensazione. Entriamo nel terzo millennio con lo stato delle infrastrutture di stampo medievale.

2)Il mondo è pieno di Ponti che uniscono perché il nostro divide? Dal Giappone all’America dall’Inghilterra alla Francia i ponti uniscono e persino noi messinesi, in veste di turisti, non resistiamo alla tentazione delle foto di rito. Li costruiscono in un centesimo del tempo che noi abbiamo utilizzato per avversarli. Il ponte, come concetto e come opera è nato per unire, invece solo a Messina divide.

3)Il Ponte porta la mafia- Questa frase è la resa alla mafia. Dire che non dobbiamo fare il Ponte perché le cosche ci metterebbero le mani sopra equivale a considerarci impotenti di fronte alla mafia e a ritenere inutili 30 anni di lotta per la legalità. Se nel 2016 riteniamo che lo Stato, la giustizia, le forze dell’ordine, non possano far nulla allora tanto vale chiudere la Sicilia. Questo discorso vale per la mafia ma anche per la corruzione. E’ come non aprire un negozio per timore che ti chiedano il pizzo. Apri il negozio e quando viene il mafioso gli fai trovare i carabinieri. Questo ci hanno insegnato 30 anni di lotta alla mafia.

4)Il Ponte devasta il paesaggio- Forse mi sono persa qualcosa ma non mi sembra che in alternativa al Ponte qualcuno in questo quarto di secolo abbia difeso il paesaggio e abbia reso Messina come Rimini, Barcellona di Spagna, le Baleari. Vedo solo una costa abbandonata ai liquami, al dissesto, alla sporcizia. Non ne abbiamo fatto né oasi né zona turistica. Da Maregrosso a Faro passando per la zona falcata, la passeggiata a mare e la Fiera non abbiamo brillato per valorizzazione delle risorse.

5)Il Ponte non porta sviluppo- Anche in questo caso mi sono persa qualcosa. Siamo terra arida e senza lavoro. Che opportunità abbiamo dato ai nostri figli dicendo no a migliaia di euro di risorse? Mentre altrove autostrade del mare e dei cieli, corridoi europei, porti, ferrovie, infrastrutture di ogni genere portano lavoro e sviluppo noi siamo gli ultimi giapponesi che non sanno che la guerra è finita.

Abbiamo detto no ai cantieri del ponte, ma non se ne sono aperti di nessun altro genere, abbiamo detto no ai lavori pubblici e non ce ne sono stati di altro genere, abbiamo detto di no ad un fiume di risorse, ai posti di lavoro. E siamo diventati deserto.

L’altro giorno mio figlio ha detto che è contrario al Ponte. Ha 21 anni, esattamente quanti io ne ho passati a dire no. In questi 21 anni la mia terra non è stata arricchita dal mio no. Lui dice no perché da giovani il tempo non sembra così veloce, pensi di possederlo e di guidarlo. Io, inizio a pensare che il Babbo Natale che ha annunciato Renzi non esiste ma ai nostri nipoti qualcosa sotto l’albero di più concreto di treni preistorici, autostrade colabrodo, traghetti che dismettono e un’Italia sempre più lontana, dovremmo metterlo prima o poi.

Se non questo Natale almeno uno dei prossimi 30.

Rosaria Brancato