Il pignoramento milionario rischia di trascinare il Comune, Messinambiente vaglia ogni strada

Il clima è teso, i volti tirati, le parole vengono pesate con cura. Ventiquattro ore dopo la sentenza che si è abbattuta su Messinambiente, si cerca di ricomporre un puzzle troppo ingarbugliato. Il maxi pignoramento da quasi 30 milioni di euro è una mazzata che oggi, come un anno fa, la società di via Dogali non si può permettere. Il giudice ha dichiarato esecutivo il pignoramento che nell’ottobre dello scorso anno era stato recapitato sui tavoli di Messinambiente e a Palazzo Zanca adesso si sta cercando di capire come uscire da un guaio a sei zeri che rischia di far saltare uno dei servizi essenziali per la città: la raccolta rifiuti. Il commissario liquidatore Giovanni Calabrò ieri ha incontrato il legale della società Paolo Vermiglio per iniziare a studiare le carte e valutare quali strade percorrere. “Non rimarremo inerti, adesso abbiamo 60 giorni di tempo prima dell’introduzione del giudizio di merito, quindi cercheremo di vagliare la possibilità di un ricorso o comunque di un’azione che possa scongiurare il peggio. La situazione è grave e siamo molto preoccupati, inutile negarlo, bisogna anche capire quali sarebbero le conseguenze immediate per la società, anche in virtù del fatto che Messinambiente svolge un servizio pubblico essenziale” ha spiegato Calabrò.

Un passaggio essenziale adesso sarà quello da fare con l’amministrazione comunale: “Ieri ho parlato con il sindaco, ho sentito telefonicamente l’assessore al Bilancio Luca Eller e al più presto ci siederemo tutti intorno allo stesso tavolo perché l’amministrazione deve decidere chiaramente cosa intende fare. Messinambiente è al 99,02% di proprietà del Comune di Messina ed è dunque il Comune a dirci come dobbiamo muoverci adesso e cosa fare per scongiurare le gravi conseguenze a cui potrebbe andare incontro la città” ha poi continuato il liquidatore.

Calabrò chiama in causa tutta l’amministrazione comunale, la stessa che lo ha scelto come successore di Ciacci, che gli aveva garantito che il suo incarico alla guida della società che gestisce i rifiuti si sarebbe esaurito nel giro di pochi mesi per procedere davvero alla liquidazione, e che in questa vicenda sembra aver scaricato la sua società “figlia” Messinambiente. E’ importante ricordare che il Comune, infatti, nella pratica per la richiesta di sospensiva rigettata dal giudice, decise di non costituirsi, anche tramite intervento “ad adiuvandum”, per supportare le posizioni processuali della sua partecipata. Una scelta politica e amministrativa che oggi assume un peso non indifferente perché potrebbe essere stata questa una delle cause che hanno spinto il giudice ad esprimersi in quella direzione. Calabrò non lo dice chiaramente, ma il suo “non detto” è più chiaro di tante altre parole e quando adesso tira in ballo sindaco e giunta è proprio perché richiama tutti alle proprie responsabilità di fronte ad una batosta da 30 milioni di euro che non colpisce solo una società ma l’intera città.

A Palazzo Zanca i timori fanno correre il pensiero verso il Piano di Riequilibrio da rimodulare entro il 30 settembre e ancora neppure esitato dalla Giunta. Messinambiente si era fatta scudo del piano decennale spiegando che il monte debitorio accumulato con l’Agenzia delle Entrate trova totale copertura proprio in quel documento finanziario. Il giudice però non si è lasciato convincere da questo passaggio. E dunque in tanti adesso temono che questo maxi pignoramento possa far saltare il Piano di Riequilibrio.

Un’ipotesi che già era emersa un anno fa, quando questa mazzata colpì Messinambiente. E’ importante ricordare però che proprio nella revisione della prima versione del Piano, i Revisori dei Conti, all’epoca presieduti da Dario Zaccone, si accorsero che i 16 milioni che l’ex assessore Signorino aveva inserito per i debiti di Messinambiente non sarebbero stati sufficienti. Convinsero l’amministrazione a modificare il documento, appostando un valore corrispondente alle perdite che fino a quel momento risultavano accumulate. Così si passò da 16 a 32 milioni, dunque al momento dovrebbe esserci la capienza necessaria, seppur risicata, per coprire il maxi pignoramento. Se quella modifica non fosse stata fatta, oggi sarebbe stato default sicuro. E invece si prova a prendere tempo. Tempo che però scorre veloce e impone soluzioni da adottare al più presto.

Francesca Stornante