Luigi Croce va via, tra speranze ed incomprensioni

E’ arrivato tra le speranze, lascia palazzo Zanca nel silenzio, travolto dall’ululato dell’incredibile folla che si è ammassata per assistere alla scena di Renato Accorinti con la fascia tricolore. Il commissario straordinario Luigi Croce si congeda da Messina senza rammarico, da una parte e dall’altra.

Dal punto di vista della città, la “missione” dell’ex procuratore capo è sostanzialmente fallita: il comune di Messina, salvo miracoli delle ultime ore, incorrerà nel suo destino, che è il default, provocato da condotte sconsiderate che risalgono a parecchi anni indietro. Dal punto di vista di Luigi Croce, l’operazione chiarezza dei conti in profondo rosso del comune è stata compiuta, e la Corte dei Conti (ed i ministeri di economia e Interno) saprà trarre le dovute conclusioni.

Un matrimonio, quello tra Croce e Messina, iniziato sotto i migliori auspici e terminato senza eccessivi rimpianti da parte di nessuno dei due. Uno di quei matrimoni terminati per consunzione, per scarso feeling reciproco, per una lunga serie di incomprensioni, prima fra tutte quella, scattata sin dall’insediamento, tra Croce ed i suoi esperti (Nino Dalmazio, Paolo Tomasello, Luigi Saccà e Luigi Montalbano), e l’area economico-finanziaria del ragioniere generale Nando Coglitore e del dirigente Giovanni Di Leo. Scontri morbidi, affidati a missive interne, a differenti interpretazioni, a debiti da quantificare che, a secondo delle campane che si ascoltavano, erano catastrofici o risolvibili, enormi o sostenibili, veri o presumibili.

L’ultimo atto di una serie di piccola, piccolissime differenze di vedute che col tempo hanno allontanato Croce e la città, si è avuta ieri al passaggio di consegne tra il commissario ed il nuovo sindaco. Fuori una folla festante, dentro un quasi rigido cerimoniale.

Croce è arrivato nel periodo più tremendo della città di Messina, all’indomani delle dimissioni dell’ex sindaco Giuseppe Buzzanca, quando ancora da parte della sua amministrazione i messaggi e le dichiarazioni erano improntate all’ottimismo e i numeri disastrosi che iniziavano a venire fuori erano bollati come disfattismo. Croce è arrivato in quel clima di incertezza, con una città che attendeva a bocca aperta, ricevendo in eredità una voragine economica senza fondo, cento vertenze ed una desertificazione morale nei confronti della quale il commissario ed i suoi esperti hanno fatto valere la forza dei numeri, lasciando che a parlare fossero le fredde cifre, senza lasciare trasparire quel “quid” che forse in questi casi i messinesi avrebbero apprezzato, ma che d’altra parte non rientra nei compiti di un commissario, che trae la sua autorità dalle leggi e non dal popolo che lo ha eletto.

Quello che resta di questi nove mesi è un piano di riequilibrio sostanzialmente fallito, una lunga attesa prima che arrivi la decisione degli organi contabili palermitani e romani sui futuri finanziari della città, e quella letterina di poche righe richiesta dai sei candidati a sindaco perché il commissario intercedesse con il ministero perché le procedure di dissesto fossero congelate in attesa che il nuovo primo cittadino e la nuova amministrazione potessero elaborare un nuovo piano di riequilibrio. L’ultimo atto, oltre quelli formali, che il commissario e la sua squadra hanno consegnato a Messina. Qualche riga, molto scetticismo sulla riuscita del tentativo e la speranza che la città, in qualche maniera, riesca a spuntarla ancora una volta. Arrivederci, commissario Croce.