La “lezione” del 2014: da un anno di fango possono nascere i fiori più belli

Da sempre quando finisce un anno ho la tendenza a pensare che il successivo sia il migliore in assoluto, anzi, come dico io “l’anno della mia vita”. Nell’emozione dell’attesa di qualcosa che non conosco butto “dalla finestra del cuore” tutte le cose vecchie, senza andare troppo per il sottile, come se “vecchio” equivalesse a brutto o negativo. Nel cestino della vita alla fine per fretta o errore metti anche quelle cose che ti hanno portato ad essere quello che sei, sicuramente più forte, più consapevole, e probabilmente, anche se non te ne accorgi, migliore. Nel salutare il 2014 stavo ricominciando la solita filastrocca: un anno pessimo, senza certezze, senza soldi, con i problemi di sempre. Poi mi sono detta: ma è davvero possibile che 365 giorni non ti abbiano portato in dono niente? E se anche fossero stati 365 giorni tra rocce e rovi possibile che io non abbia imparato nulla da questo percorso? Così mi sono imposta di girarmi indietro e di rivedere la gallery di un anno e capire, se tra una stagione e un’altra, sia stato per me solo tempo che passa. E ho scoperto che al 2014 devo dire solo grazie perché nelle difficoltà mi ha insegnato a trovare in me stessa le armi per combatterle, mi ha insegnato ad alzarmi e ad accorgermi che è solo dando la mano ad un altro che sarò più salda e che solo sorridendo imparerò a vedere che dietro ogni nuvola c’è sempre, sempre, sempre, sempre il sole. Ho imparato a vergognarmi di tutte le volte che mi lamento e che basta guardare davanti al mio naso per capire quanto inutile e sciocco sia. Ma soprattutto ho imparato che se non mi se non mi rimbocco le maniche io nessun altro lo farà. E, poi, dopo essermi rimboccata le maniche, non devo dire: io l’ho fatto, voi perché state tutti ancora con le maniche lunghe e non muovete un dito? Più che tediare i lettori con la mia vita vorrei invitare tutti a voltarci indietro ed a guardare quel che il 2014 ha insegnato a Messina, intesa come comunità, perché siamo una comunità, anche quando ci guardiamo in cagnesco, ci spettegoliamo alle spalle o in auto ci trasformiamo in demoni degli inferi in grado di uccidere chi non scatta al primo secondo di verde. E’ stato un 2014 terribile, fatto di fame, precarietà, angoscia, lacrime e sangue. Lungo questi mesi decine di saracinesche si sono abbassate, centinaia di persone hanno perso o il lavoro o la speranza, centinaia di giovani e meno giovani hanno lasciato la città per non tornare mai più, migliaia di persone hanno stretto la cinghia fino a far sanguinare la carne, altrettante non prendono stipendi da mesi, chissà quante sono rimaste la sera piegate dalla sconfitta e quanti genitori hanno pianto per i figli 30enni o 40enni ancora a loro carico. Flavia Ilacqua mi raccontava che alla mensa di Sant’Antonio ogni sera si offrono 450 pasti e che ci sono così pochi soldi che i petti di pollo il martedì sono stati sostituiti con l’uovo sodo e che il Natale è stato Natale solo grazie ai commercianti, se non ricordo male, di via Santa Cecilia e via Cesare Battisti.

E’ stato un anno ancor più duro del precedente e nel cuore di tutti c’è il solo sogno che questa catena finisca. Però è proprio in questo anno di fango che sono nati i fiori più belli, che la Messina che si rimbocca le maniche ci sta provando. Quei commercianti che hanno donato la cena di Natale alla mensa dei poveri sicuramente non navigano nell’oro, però l’hanno fatto. Hanno smesso di lamentarsi, hanno capito che “nessun uomo è un’isola” e hanno visto, con occhi diversi e per la prima volta chi a pochi metri da loro stava vivendo un inferno ancora più grande. Così rinunciando a qualcosa hanno fatto un dono che ha valore maggiore quando si è tutti più poveri che quando si ride nella buona sorte. Sono decine i rappresentanti delle singole categorie professionali che si stanno scervellando per cambiare strategia, percorso, modo di lavorare e si sono inventati iniziative di ogni genere per invertire la rotta. I consiglieri del V quartiere quando, a eventi annunciati, il Comune ha fatto dietrofront e non ha dato più i soldi promessi per le manifestazioni natalizie si sono autotassati per pagare i regali per i bambini e pagare le spese per Forte Ogliastri. Potevano limitarsi a dare la colpa all’amministrazione e dire “la responsabilità non è mia”. Invece hanno messo mani al portafoglio. Iniziative come questa, spaziando dal mondo delle professioni a quelle del volontariato ce ne sono state tantissime. E’ stato un anno terribile, ma proprio per questo ha consentito di trovare gli strumenti adatti per combattere gli ostacoli. I volontari delle mense dei poveri, dei dormitori, dell’Help center, medici, avvocati, liberi professionisti, hanno una vita, un mestiere, e sicuramente anche loro saranno stati colpiti dalla crisi (gli unici mai sfiorati restano politici e amministratori che non hanno la minima idea della bufera che sta squassando le fondamenta del Paese) e dovranno fare i conti a fine mese con un passato che non torna più. Nessuno oggi a Messina può dire di stare bene, tranne, appunto i politici e gli amministratori a vario titolo. Eppure, nel momento più nero ci siamo accorti del nostro vicino in ginocchio, o abbiamo deciso di cambiare pessime abitudini e vecchi costumi di comportamento. L’amministrazione ha detto “no euro no feste di Natale”? Ci siamo usciti dal cilindro di tutto per vivere il Natale più colorato e luminoso. Decine di associazioni si stanno occupando di luoghi culturali, pulizia di siti, valorizzazione di beni. Il volontariato, qualunque forma assuma, non è la risposta al problema è semmai il sintomo di qualcosa che non và, è la prova che c’è una malattia in stato terminale. Ma in questo momento in cui stiamo precipitando sempre più giù si è deciso di non guardare troppo per il sottile. Una frase trita e ritrita, presa dal celebre discorso di JF Kennedy il 20 gennaio del 1961 quando s’insediò come Presidente degli Stati Uniti ricorda: “Non chiedete cosa il vostro Paese può fare per voi ma cosa VOI potete fare per il vostro Paese”. Penso che uno degli insegnamenti che questo 2014 ha lasciato sia questo: smetterla di chiederci cosa Messina può fare per noi e iniziare a fare qualcosa noi per la città, intesa come “altri” e “altro da noi”.

A me piace lo spirito di quanti invece che dare la colpa alla mala sorte, alla classe dirigente incapace, a Saturno contro, all’invasione dei clandestini, a quellicheceranoprima, ai comunisti, al castigo divino, decidono di andare oltre e di non perdere tempo ed energie per attribuire una responsabilità a qualcuno o qualcosa. Mi piacciono quelli che dicono: è andata così, vediamo cosa posso fare per uscirne. E’ così che l’ostacolo diventa opportunità per trasformare in valore un problema. E’ così che Messina sta scoprendo una generosità ed un istinto di sopravvivenza impensabile, è così che dal fango nascono i fiori. Sempre Kennedy, in quel discorso che sono andata a rileggermi dichiara: “una società libera che non è in grado di aiutare i molti che sono poveri non riuscirà a salvare i pochi che sono ricchi”. Non basta avere quella che chiamiamo “barca all’asciutto”, perché il diluvio non guarda il conto in banca. Se non siamo in grado di aiutare gli ultimi prima o poi anche chi oggi è quarto diventerà ultimo, fino a quando anche i primi non potranno più esserlo, perché nel deserto non ci sono primi. Quelli che in questi decenni hanno sbranato ogni cosa pensando di togliere l’erba e il miele solo ai figli degli altri non si sono resi conto che se Messina diventa un deserto anche i loro figli non potranno vivere.

Il 2014 ci ha fatto capire che Messina è quasi deserto ed è arrivato il tempo per ognuno di noi di studiare il modo per far arrivare l’acqua, i rabdomanti, trovare oasi, cammelli, piantare semi. Se non lo facciamo noi non lo farà nessun altro. Se perdiamo tempo a lamentarci su Fb additando gli altri, da quelli che posteggiano in doppia fila all’assessore di turno, ma poi non siamo in grado applicare alla vita quotidiana il principio kennedyano del “cosa faccio io, ora, qui per cambiare” allora resteremo deserto. Come messinesi dovremmo dire grazie al 2014 perché ci ha fatto vedere il buio della notte ma in quel buio abbiamo scoperto che abbiamo le capacità per combattere e accendere altre luci per chi non ce la fa. Spero davvero che il 2015 sia l’anno della nostra vita e ci doni la luce e i colori, ma non gettiamo via quel dono che ci ha dato il 2014, non siamo ingrati verso quelle difficoltà che ci hanno insegnato quanto siamo grandi e forti. Anche nella notte più nera.

Rosaria Brancato