La Direzione Investigativa Antimafia di Messina sequestra beni per un valore di 30 milioni di Euro

Per vent’anni hanno esercitato il monopolio degli appalti e dei subappalti nella zona di Caronia. Dal completamento della A20, Messina Palermo, al metanodotto in alcuni comuni Nebroidei. Ma anche nel settore dell’energia eolica con la realizzazione di parchi in Sicilia e altre Regioni erano approdati i fratelli Antonino e Tindaro Lamonica, quest’ultimo attuale consigliere comunale di minoranza del comune di Caronia. E nell’inchiesta della Dia sull’ascesa economica dei due imprenditori c’è pure il cemento depotenziato utilizzato per costruire tutte queste grandi opere. Cemento utilizzato anche per la realizzazione delle galleria sulla A20, una delle quali è stata nei mesi scorsi chiusa perché non ritenuta sicura.
Nell’indagine della Dia coordinata dal Procuratore Capo, Guido Lo Forte e dal Sostituto Procuratore della Repubblica presso la Dda, Vito Di Giorgio sono finiti tutti gli appalti e i subappalti eseguiti in oltre vent’anni di attività dalle ditte che fanno capo ai fratelli Lamonica e ci sono pure le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, Ruggero Anello e Carmelo Bisognano che hanno confermato la contiguità tra i fratelli Lamonica e Pino Lo Re. Proprio questo legame avrebbe permesso ai due di esercitare un monopolio nel settore edile in vent’anni di attività.

Al culmine di quest’indagine sono finiti sotto chiave capitali sociali e beni di 5 società operanti nel settore dell’edilizia, con annesso impianto per la produzione di calcestruzzo e pietrisco, 13 appartamenti, 2 terreni a Caronia, 50 veicoli e numerosi rapporti bancari e polizze vita. Beni per un valore di 30milioni di euro che la direzione investigativa antimafia ha sequestrato in esecuzione del provvedimento emesso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale.
Le indagini della Dia hanno permesso di ricostruire l’anomala ascesa imprenditoriale dei due fratelli, da tempo a capo di un consolidato gruppo con interessi anche extraregionali e un fatturato di oltre 2 milioni di euro annui e di rilevare anche l’esistenza di un forte profilo sperequativo tra i beni posseduti ed i redditi dichiarati.