Se la pioggia si trasforma in una roulette russa: contiamo i morti e gli anni che passano

Gli unici veri Patti per la Sicilia sui quali in questo momento possiamo contare sono gli scongiuri. Appena vediamo nuvoloni all’orizzonte, appena scatta l’allerta meteo, appena Daniele Ingemi scrive su Tempostretto che arriverà la bufera non ci resta che aprire gli ombrelli e sperare di cavarcela. Ad ogni alluvione, da Giampilieri a Milazzo, da Barcellona a Giardini, da Messina a Letojanni, da Saponara a Santa Margherita, continuiamo a contare i morti, i danni, le abitazioni evacuate, le attività chiuse.

Contiamo i morti e gli anni che passano.

Non ci accorgiamo che il 22 novembre del 2011, a Saponara hanno perso la vita 3 persone, 700 hanno dovuto lasciare le case, il paese è stato devastato, così come Milazzo e Barcellona. Non ci accorgiamo che sono passati 5 anni da quel 2011 e un anno dall’alluvione che ha devastato sia la zona jonica che la tirrenica.

Contiamo i morti, gli anni e le promesse.

Se andiamo a Saponara, o a Milazzo, o a Barcellona, se torniamo nel versante jonico, di fatti concreti non ne vediamo. I progetti esecutivi, le speranze, le ricostruzioni sono inghiottite da una burocrazia sorda ad ogni grido. Impassibile e lenta di fronte al dolore e alla paura.

La natura non aspetta che un impiegato o un dirigente della Regione, della Protezione civile, sblocchi una pratica, firmi un fascicolo. La natura non distingue tra la fretta delle promesse pre-elettorali e quella degli impegni post-tragedia. La natura se ne frega se adesso abbiamo il Patto per la Sicilia o il Masterplan per Messina Città Metropolitana. Nella migliore delle ipotesi quei soldi diventeranno opere reali tra 8 anni. Da allora, ogni inverno, ogni nuvolone può trasformarsi in lutto.

Mi irrita ascoltare per l’ennesima volta i discorsi sul dissesto idrogeologico e sulla sicurezza del territorio. Mi irrita perché sono uguali a quelli ascoltati nel 2009, nel 2011, nel 2015 e purtroppo anche a quelli che ascolteremo ancora.

Ho vergogna nel dover scrivere questa rubrica perché mi sento complice di una colossale presa in giro per i cittadini.

Ricordate la famiglia Carità, inghiottita, insieme a Simone Fernando dalla furia del torrente Annunziata? Era il 27 settembre 1998, sono trascorsi 18 anni e facciamo sempre gli stessi discorsi. Ad ogni pioggia guardiamo terrorizzati il torrente Trapani e ci sembra di vedere un film già visto, di ascoltare una storia già raccontate.

Quante volte abbiamo parlato del rischio torrenti? Ma poi, quando piove, Messina e provincia si trasformano in un campo di morte e non sappiamo MAI quale sarà il torrente che diventerà un’arma mortale, o quale fiume, quale argine, in quale zona della città e della provincia.

E’ come essere parte di una roulette russa e non sai se toccherà a te essere nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Giovedì 24 novembre ho intervistato il presidente del I quartiere Enzo Messina a proposito del consenso per la donazione organi. Poi, come sempre accade quando si parla con gli amministratori di frontiera, quali sono oggi i quartieri, abbiamo parlato dei rischi per i villaggi che da mesi sono al buio e dei torrenti. Mi spiegava che i mezzi meccanici ci sono per ripulire gli alvei. Mancano gli autisti ma il Comune, per motivi noti, non ha alcun modo per assumere personale. Da Giampilieri in poi sappiamo che i torrenti, se non liberati, si trasformano in armi assassine alle prime piogge. Ma ci affidiamo alla buona sorte.

Messina è attraversata da una sessantina di queste armi. Tutte scariche. A caricarle a pallettoni basta una pioggia. La colpa non è della natura o del destino. Puoi additare la sorte se un aereo precipita sulla tua testa mentre passeggi, non se scoppia una bomba che giace innescata per anni. Fa rabbia sapere che a Saponara, 5 anni dopo l’alluvione, nessuna di quelle opere di messa in sicurezza è stata fatta, solo TOPPE. Sono arrivate solo briciole. Non certo per colpa dei sindaci di periferia che l’unica cosa che possono fare, hanno fatto e faranno, è uscire con gli stivali in mezzo al fango e unire le loro lacrime a quelle dei commercianti barcellonesi o delle famiglie che hanno perso. Lacrime che si perdono nella pioggia.

Nella serata di sabato abbiamo incrociato le dita sperando che a Calatabiano la pioggia non trascinasse a valle quel sistema “provvisorio” dal quale dipendiamo da oltre un anno. La gara dovrebbe essere a dicembre, quindi 14 mesi dopo l’ottobre nero. Perché esultiamo quando firmiamo il Patto per la Sicilia se sappiamo che passeranno anni ed anni per vedere un’opera compiuta?

Giampilieri è stata ricostruita. Ma ci sono ancora famiglie, le cui case sono in zona rossa, che per uno di quei paradossi della burocrazia non possono tornare a casa ma pagano di tasca propria gli affitti altrove perché la Regione non stanzia più i fondi. Il rischio è creare un paese fantasma.

Perché un progetto deve impiegare anni ed anni per passare da una scrivania ad un’altra? Perché parliamo di messa in sicurezza e quando piove l’unica cosa che possiamo dire è SI SALVI CHI PUO’? La messa in sicurezza del territorio deve essere la priorità assoluta di qualsiasi amministrazione di qualsiasi livello.

Abbiamo paura di un terremoto, quando, purtroppo, la percentuale di rischio con il maltempo a Messina è più alta, perché l’inverno arriva puntuale ogni anno, così come le alluvioni.

Non basta dire, “piove, governo ladro”, perché dalle nostre parti le colpe si annidano anche negli uffici, in una burocrazia elefantiaca e indifferente.

Per l’alluvione di Giampilieri al processo sono stati condannati i sindaci di Messina e Scaletta Giuseppe Buzzanca e Mario Briguglio, ma assolti i dirigenti della Protezione civile, i tecnici, i progettisti. Lasciando le responsabilità solo su chi amministrava quel preciso giorno e assolvendo chi doveva fare le mappe dei rischi, individuare le zone, progettare, inserire o cancellare siti. Un sindaco passa, un burocrate c’era prima e ci sarà dopo, c’era quando il problema si è creato, quando non si è risolto, quando si è ingigantito e quando è diventato un cancro. E ci sarà anche quando, dopo la tragedia, risorse e progetti si perderanno nei labirinti dei Palazzi.

Moriremo sommersi dal fango e dalle carte. Moriremo perché una firma non è stata messa in tempo, un progetto è rimasto nel cassetto. Ci dividiamo tra chi dice che siamo in Europa e chi dice che non lo siamo. Noi non siamo in Europa. Viviamo in un’isola medievale, dove quando piove è più sicuro uscire di casa con una zampa di coniglio o farci togliere il malocchio piuttosto che sperare che di avere strade che non franano, ponti che non crollano, colline che non si sgretolano, torrenti che non esondano.

Rosaria Brancato