Gli allievi e attori della Scuola dei Mestieri dello Spettacolo del Teatro Biondo di Palermo, sotto la direzione della grande Emma Dante, hanno realizzato Il 13 agosto scorso, presso il Teatro Antico di Taormina, una performance collettiva davvero singolare, ove la cifra stilistica è stata altamente macchiettistica e come sempre assai dissacrante. Spettacolo solo apparentemente svagato, dunque, di grandi contenuti, con giovani protagonisti di eccellente presenza scenica, gran rigore nella scelta dei costumi e degli elementi di scena, entrambi riferibili a Emma Dante e lodevole armonizzazione delle forme espressive teatro-danza, musica e canto.
Abbiamo così rivisto e riascoltato le voci dei personaggi che hanno animato l’omerica opera in forma di poema, che ha avuto intitolazione proprio da Ulisse (altrimenti detto Odisseo), figlio di Laerte, marito errabondo della paziente Penelope, padre di Telemaco e padrone del cane Argo. Come è noto, le peripezie, il vagabondare dell’eroe per un ventennio dopo la vittoriosa guerra dei greci contro Troia, costituiscono il fulcro, e quell’epopea si colora di variegate avventure – amorose e non – che impediscono ad Odisseo il rientro nella sua pietrosa Itaca e il ritorno ai consolidati affetti. In apertura uno Zeus palestrato e in gonna, per volere di Atena, sua figlia prediletta, acconsentirà ad adoprarsi per favorire la partenza di Ulisse dall’isola Ogigia, ove la captativa ninfa Calipso lo tiene avvinto; il tutto avverrà anche con l’ausilio di Nike, dea della vittoria, e si darà inizio così alle ultime fatiche di Odisseo per la riconquista dell’avita reggia, infestata dagli insolenti principi greci, i Proci, che dalla sua assenza ambiscono alle nozze con l’ormai da troppo tempo solinga Penelope. Quest’ultima, si sa bene, cerca di frodarli e differire così la scelta di un futuro marito, utilizzando lo stratagemma della tela (che dovrebbe ricoprire il sudario in memoria del marito che si teme sia defunto) di giorno intessuta e la notte disfatta, finchè i pretendenti infuriati non le lanciano un ultimatum: dovrà finalmente effettuare la sua decisione, scegliendo fra loro e solo in tal guisa tutti gli altri consentiranno ad abbandonare il palazzo regale. Penelope sembra esitare ancora, nonostante le pressioni, a suo dire, anche del padre Icario, segretamente legata com’è ad un pensiero oggettivamente incoerente, e cioè che il marito sia ancora in vita e potrebbe far ritorno ad Itaca. Dal canto suo Telemaco non sembra certo solerte ad indossare i panni dell’erede di cotanto padre, tergiversa, come un giovane della nostra epoca storica, apparendo restio ad appropriarsi del proprio percorso esistenziale e prendere le redini del suo destino. Le persistenti malefatte dei principi – che con sacrileghe azioni offendono la dimora reale – costituiscono alfine un deterrente alla sua inazione ed egli deciderà di compiere un viaggio alla ricerca della verità sul padre – se cioè sia ancora nel regno dei vivi – poiché, ove dovesse esserci prova supportata della sua dipartita, si adopererà per convincere la madre alle nuove nozze. Dapprima la fedele nutrice Euriclea vorrebbe dissuaderlo alla partenza, temendo per la sua giovane età, ma i continui malesseri del giovinetto la fanno ricredere fino a mentire per consentirgli ad insaputa della madre Penelope di prendere il mare. Tutto è bene quel che finisce bene, la casta Penelope può infine riconoscere il marito per lei redivivo, che sotto le sembianze di Procio, è riuscito a primeggiare nella gara con l’arco, assicurandosi la sua mano, e qui qualche virata inattesa intorno al personaggio della regina (che unitamente alla nutrice era stata fino ad ora rappresentata fedelmente) che nel fraseggio e nelle azioni appare finalmente sin troppo liberata. La piece è declinata con ritmi e cadenze spesso siciliani, in un riuscito amalgama rispetto al mondo greco. La ricerca è il tema fondamentale dell’opera, l’andare a caccia della conoscenza per fuggire dalla terra, dai suoi ritmi generazionali cadenzati, da un’esistenza scontata ove la libertà sembra essere in esilio.
Tosi Siragusa