28 dicembre 1908: l’alba della devastazione. Il terremoto che cambiò Messina

«Ero in letto allorquando senti che tutto barcollava intorno a me e un rumore di sinistro che giungeva dal di fuori. In camicia, come ero, balzai dal letto e con uno slancio fui alla finestra per vedere cosa accadeva: Feci appena in tempo a spalancarla che la casa precipitò come un vortice, si inabissò, e tutto disparve in un nebbione denso, traversata come da rumori di valanga e da urla di gente che precipitando moriva». Dalle colonne dell’Avanti! con queste parole ancora cariche di incredulità e dolore Gaetano Salvemini raccontò i primi istanti che seguirono la furia devastante del più grande terremoto che Messina abbia mai vissuto. Salvemini era docente all’Università di Messina, sopravvisse alla moglie, ai cinque figli e alla sorella. Le vittime ancora oggi non si sa con esattezza quante furono, solo a Messina almeno 80 mila.

Erano le 5.20.27, la terra tremò per 37 secondi. Fu l’alba del disastro. Messina e Reggio Calabria si svegliarono nella devastazione. L’ora esatta risulta dal sismogramma registrato all’Osservatorio di Messina, salvato dal sismologo Emilio Oddone, che fu tra i primi studiosi a giungere sui luoghi del disastro. Il valore di magnitudo fu di 7.1, secondo i dati convergenti risultanti dalle analisi delle registrazioni strumentali e delle stime macrosismiche. La scossa fu percepita dalle persone in un’area vastissima: in direzione nord fino all’isola d’Ischia e alla provincia di Campobasso; verso est fino al Montenegro, all’Albania e alle isole Ionie della Grecia; in direzione sud fino all’arcipelago maltese; a ovest fino a Ustica e ad alcune località della provincia di Trapani.

A Messina il terremoto fu catastrofico e distrusse completamente il tessuto urbano: abitazioni, edifici pubblici civili ed ecclesiastici, infrastrutture. Le costruzioni che resistettero furono incredibilmente poche: secondo i dati del Ministero dei Lavori Pubblici soltanto due case risultarono illese. Tutte le altre crollarono totalmente o ne rimasero in piedi solo le pareti esterne, mentre collassarono tetti, solai, muri divisori e scale. Nella città che la sera prima aveva applaudito la prima dell’Aida di Verdi al Teatro Vittorio Emanuele gli effetti furono più catastrofici nei quartieri antichi e più bassi della zona centrale della città, fondati su terreni alluvionali poco stabili e dove la qualità del patrimonio edilizio era generalmente pessima. Gli edifici erano troppo alti, quasi sempre a causa di successive sproporzionate soprelevazioni, senza un adeguato rafforzamento delle fondazioni, che risultavano dunque insufficienti. I muri erano troppo sottili in relazione all’altezza, spesso costruiti con ciottoli di fiume o con mattoni tenuti insieme da scarso cemento. I tetti e i solai risultavano eccessivamente pesanti e mal connessi con i muri maestri: per questo in molti casi sprofondarono anche quando le murature esterne rimasero in piedi. Gli effetti furono un po’ meno disastrosi nella parte alta più periferica della città, dove gli edifici erano fondati su terreni più stabili e compatti, e nei quartieri nuovi dove la qualità delle costruzioni era migliore.

Sia a Messina sia a Reggio Calabria fu quasi azzerato il patrimonio storico-monumentale. La scomparsa di chiese, monasteri e palazzi, distrutti o demoliti dopo il terremoto, cancellò pressoché totalmente l’eredità storica urbana delle due città, già depauperata da precedenti terremoti

Poi ci fu il maremoto. Segnalato dai testimoni da 5 a 10 minuti dopo il terremoto, il maremoto fu di violenza straordinaria e lasciò in desolazione entrambe le coste dello Stretto. Sulla costa orientale della Sicilia l’altezza massima delle onde fu compresa tra 6 e 9.50 metri circa e fu rilevata nel tratto compreso tra la foce della fiumara Portalegni, subito a sud del porto di Messina, e Giardini Naxos, con una punta estrema di 11.70 metri a Sant’Alessio Siculo. Nel porto di Messina l’altezza delle onde non superò i 3 metri.

Nel resto d’Italia seppero del terribile terremoto solo nel pomeriggio del 28, quando una nave riuscì a fatica a lasciare il porto di Messina. Il presidente del Consiglio era Giovanni Giolitti che mise subito in moto la macchina dei soccorsi e il 29 mattina arrivarono i primi soccorsi. Per la prima volta nella storia scattò una gara di solidarietà che coinvolse non solo l’Italia. Inglesi e russi furono i primi ad arrivare. Poi fu la volta di tedeschi, americani, francesi e spagnoli.

Famosa resta la testimonianza del poeta Salvatore Quasimodo, che si trasferì in Sicilia tre giorni dopo il sisma. All'epoca aveva sette anni e seguì il padre che era capostazione e che aveva il compito di dirigere il traffico ferroviario. «Dove sull'acque viola era Messina, tra fili spezzati e macerie tu vai lungo binari e scambi col tuo berretto di gallo isolano. Il terremoto ribolle da due giorni, è dicembre d'uragani e mare avvelenato», scrisse il futuro premio Nobel per la Letteratura nella poesia "Al padre".

Francesca Stornante