La guerra dei tir, ovvero: “i 10 giorni che sconvolsero Messina”

Tra 100 o 200 anni i nostri discendenti leggeranno nei libri di storia quel che accadde in un inizio estate meno caldo del solito, nel 2014, quando scoppiò quella che passerà al mito come “La guerra dei tir” e che sconvolse la pacifica comunità in riva allo Stretto abituata a sonnecchiare.

Orbene, in una tiepida mattina di inizio giugno la giunta Accorinti si rese conto che in un anno sul fronte tir non aveva fatto granchè rispetto agli annunci, niente flotta comunale, niente tir fuori dal centro urbano, insomma, era ora di darsi una mossa. Di lì a poco sarebbero entrati in vigore gli orari estivi della Cartour con due corse diurne, che avrebbero comportato l’invasione di mezzi pesanti in pieno centro e in pieno giorno. Ma la richiesta da parte del sindaco di sospendere le corse diurne per i mezzi pesanti, chissà perché venne scambiata dalla società come una dichiarazione di guerra. In verità non aveva schierato cannoni sul molo Norimberga pronto a bombardare ogni nave in transito, né raso al suolo la Rada San Francesco, aveva semplicemente chiesto di mantenere per i tir gli orari notturni che sono in vigore tutto l’anno. Ma abituati a 30 anni di un comportamento da parte delle amministrazioni di mera ratifica delle decisioni degli armatori il fatto venne scambiato per una dichiarazione di guerra. Così, in quei giorni d’estate 2014 scoppiò l’inferno. Le due parti schierarono le proprie truppe sui lati opposti del Rubicone, guardandosi in cagnesco e studiando le possibili mosse e strategie.

La giunta incaricò il dirigente Pizzino di predisporre una determina, che venne scambiata dai più per l’invasione della Polonia da parte delle truppe naziste. Accorinti tutto contento si rivolse ai suoi “adesso è il momento di far scendere in mare la flotta comunale”, ma i suoi lo guardarono straniti e risposero: “guarda che la storia della flotta comunale era una battuta da campagna elettorale”. Lui ci rimase malissimo tanto che i suoi, per tirarlo su, decisero di dare una mano per recuperare qualcosa il più possibile simile ad una flotta. Ciacci smise di cercare su e-Bay cassonetti usati e provò con le navi, anche golette o vecchi galeoni di pirati, purchè stessero a galla. Qualcuno provò a vendergli un gommone confiscato ai contrabbandieri di sigarette negli anni ’50, ma Ciacci si rifiutò di acquistarlo perché realizzato con materiale inquinante e non riciclabile. Il dg dell’Atm Foti andò a rovistare nel deposito della GTT di Torino per scovare qualche vecchio bus degli anni ’80, togliergli le ruote e metterlo in mare, ma non riuscì a risolvere il problema causato dal fatto che quando gli sportelli si aprivano per far entrare i passeggeri il mezzo si riempiva subito di acqua. L’assessore alla cultura Tonino Perna fu incaricato di andare a cercare discendenti dei fenici, popolo di navigatori, e trovò anche qualcosa di utile, ma l’affare saltò quando il docente propose un pagamento a rate con il tallero dello Stretto e la transazione non andò….in porto.

Nel frattempo la controparte serrava le fila. La Caronte-Tourist fece sapere che la situazione era talmente grave che c’era il rischio di dover licenziare tutti i dipendenti, compresi quelli degli alberghi e scrisse una lettera annunciando che mai e poi mai, qualora il Messina fosse tornato in serie A avrebbe ricomprato la squadra. L’Autorità portuale chiamò a raccolta i bimbi di 478 asili di città e provincia, che armati di secchiello e paletta avrebbero potuto fare in una settimana quel che non era stato fatto in 3 anni e 2 mesi all’invasatura di Tremestieri colpita dalla “maledizione della luna nera” che causa insabbiamenti resistenti a qualsiasi forma di lotta. Anche il prefetto diede il suo apporto, convocando un tavolo tecnico con geologi, astronomi, ingegneri, ragionieri contabili, marittimi, speleologici, fisici, architetti del mare, arredatori di barche, meccanici, matematici e cinque benzinai, per avere un quadro dettagliato della situazione. Il leader degli autotrasportatori Richichi era il più felice di tutti, finalmente il gioco si faceva duro e annunciò l’embargo di tutte le merci per i prossimi sei anni, sperando di affamare e assetare la città e lasciarci persino senza la carta igienica “voglio vedere se questa giunta eco-sostenibile riesce a far sopravvivere i messinesi con i prodotti dei loro orticelli”.

Tutti insieme poi diedero mandato ad uno stuolo di legali per preparare ricorsi al Tar, al tir, al Cga, alla Cassazione, alla Corte Costituzionale, alla Corte di giustizia Europea ed all’Onu.

Nel frattempo in Consiglio comunale , dove i genovesiani sono la maggioranza, e non mi riferisco ai soli consiglieri del Pd dal momento che si tratta invece di un’area vasta e trasversale, da potersi definire “area politica integrata dello Stretto”, il clima era da allarme rosso.

Parola d’ordine: serrare le fila e la prima mossa fu affondare la proposta anti-tir presentata da tre colleghi Pd, Zuccarello, Cardile e Sindoni, che faceva il seguito alle delibere approvate dal consiglio del IV quartiere, presieduto da Francesco Palano Quero, Pd e dal consiglio del III quartiere, presieduto dal Pd Natale Cucè.

Il Pd genovesiano era sconvolto, i quartieri ed i tre colleghi Sindoni, Cardile e Zuccarello, dovevano aver preso lucciole per lanterne, credendo che lo slogan “via i tir dalla città”, declamato alle amministrative del 2013 in occasione della candidatura di Felice Calabrò fosse un programma, quando invece “era solo una battuta da campagna elettorale”.

A conti fatti, da una parte la “flotta comunale” dall’altra “via i tir dalla città”, la campagna elettorale del 2013 è stata solo uno scambio di battute alla Zelig.

A questo punto l’area politica integrata genovesiana preparò l’arma letale: un documento anti-tir in antitesi a quello della giunta, l’anti-tir dell’anti-tir insomma, una sorta di anti-tir al quadrato. Tutti insieme, Pd genovesiano, Udc, Democratici riformisti e Megafono, stilarono un documento a dir poco “rivoluzionario”.

Con l’ordine del giorno si chiedeva il rinvio del divieto ai tir fino: alla consegna dell’approdo di Tremestieri, all’istituzione di un tavolo tecnico, all’accelerazione dell’iter per la via don Blasco. Pare che nella versione originaria si chiedesse il rinvio fino alla costruzione del Ponte dello Stretto, al completamento della Salerno-Reggio Calabria ed alla messa in sicurezza del viadotto Ritiro.

I consiglieri, armati di demagogia fino ai denti, accusarono Accorinti di non aver alzato un dito per la via don Blasco e per il porto di Tremestieri, di non aver battuto i pugni con Crocetta e Renzi (peraltro entrambi Pd…). La giunta Accorinti ha fatto molti errori ed ha molte carenze ma accusarla di non aver fatto nulla per la via don Blasco o il porto o non aver battuto i pugni a Roma e a Palermo su vicende che sono ventennali equivale ad essere senza vergogne e senza memoria. Esistono inoltre stuoli di deputati, sia a Palermo che a Roma di tutti i partiti ufficiali.

L’armata anti-anti-tir come seconda mossa organizzò un consiglio comunale aperto al quale furono invitati tutti gli interessati al problema dei mezzi pesanti: Confindustria, Confcommercio, Confartigianato, mancavano solo la confederazione dei sarti, la Federcasalinghe e i fiorai autonomi che infatti protestarono in modo vibrante. Il consiglio aperto fu un successone e quando alla fine sette consiglieri ribelli protestarono perché non condividevano il documento e non volevano adeguarsi al pensiero unico dell’Aula, venne decretata la punizione finale.

I sette ribelli: Piero Adamo, Fabrizio Sottile, Daniela Faranda, Nina Lo Presti, Ivana Risitano, Donatella Sindoni e Daniele Zuccarello furono messi su una scialuppa della Vestfold senza viveri né acqua e abbandonati al largo del Mediterraneo, con la segreta speranza di non vederli mai più. Contavano sul fatto che, vista l’abbronzatura da Sharm el- Sheik di Zuccarello, sarebbe stato scambiato per scafista quindi arrestato e condannato per tratta di esseri umani e loro non l’avrebbero mai più rivisto. Avevano sottovalutato lo spirito da viveur del duo Sottile-Zuccarello, che una volta a bordo della scialuppa convinsero i compagni a dirottare verso Ibiza dove trascorsero una settimana da sogno e al rientro attraccarono alla Rada San Francesco, esibendo una deroga taroccata e fingendosi cugini di terzo grado di Richichi.

Rosaria Brancato