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“Assassinio nella Cattedrale” con Ovadia e un cast d’eccezione

MESSINA – Il Teatro “Annibale” di Messina, rinomato per la sua ricercatezza e la perfetta acustica, ha ospitato il 16 e il 17 marzo, nell’ambito della XII Rassegna “Turi Ferro”, la magistrale performance “Assassinio nella Cattedrale”, con la impeccabile regia di Guglielmo Ferro e interpreti d’eccezione, in primis Moni Ovadia e Marianella Bargilli, affiancati da un parterre di autentica eccellenza.

“Murder in the Cathedral” è un dramma in versi di Thomas Stearns Eliot.

La solitudine del santo martire del XII secolo parla ancora alla nostra contemporaneità

Moni Ovadia è la perfetta incarnazione dell’eroe Becket attraversato tragicamente dalla fede cristiana, costantemente in bilico fra messaggio evangelico del Cristo e fede in Dio e brama di potere, e da figura umana e artistica pregna di sapienti sfaccettature (interprete, autore, regista, musicista), quale portatore di linguaggi polifonici e istanze antropologiche diversificate, ne ha colto al meglio ogni tratto, restituendolo magistralmente.

Dal canto suo, la Bargilli con intensa resa di due ruoli, di una corifea e del quarto visitatore…il Demonio Tentatore, si è mossa in assoluto agio in entrambi, ove la matrice di fondo è stata pur sempre il labile confine fra emotività e razionalità. Altri interpreti, tutti perfettamente in parte: Agostino Zumbo, Francesco M. Attardi, Pietro Barbaro, Daniele Gonciaruk, Viola Lucio, Plinio Milazzo, Mario Opinato, Emanuela Trovato,in merito ai quali darebbe conto soffermarsi uno ad uno per vantarne il pregio attoriale, ma in questa sede voglio mettere in luce soprattutto le performanti rese di Gonciaruk, Zumbo e Opinato.

Un adattamento davvero mirato-reduce da una fortunata tournèe nazionale,in prosieguo- che, nel pieno rispetto della valenza di fondo e del portato dell’opera più riuscita di Thomas Stearns Eliot, ne individua gli elementi connotanti nella eterna contrapposizione fra poli opposti, a partire dai poteri cardine della civiltà occidentale, quello spirituale e quello temporale , percorrendo altresì il fronteggiarsi della Ragione e della Fede.

Due personalità e ruoli forti, quelli del Re d’Inghilterra Edoardo II e dell’Arcivescovo di Canterbury, Thomas Becket, nel Medioevo (ove l’uno aveva nominato l’altro confidando di ridurre le interferenze della chiesa,non mettendo in conto che il religioso avrebbe preso tale magistero spirituale proprio sul serio) si ergono e solo uno di essi potrà residuare al termine dello scontro. La storia tramandata è di non semplice comprensibilità, dominata come è da intricate coordinate, e intriganti manipolazioni, nelle interconnessioni fra libertà e costrizione, ivi comprese le zone grigie fra le stesse.

La rappresentazione trova il suo incipit nella notizia del ritorno, dopo un settennio in Francia, di Becket proprio in costanza dell’appropinquarsi del Natale.

Tale rivelazione è fonte di comprensibili timori in ragione della problematicità e della nota assenza di propensione del religioso ai compromessi e alle mediazioni … tanto più che si rammenta che lo stesso aveva già preannunciato la propria prossima fine, preconizzando l’approssimarsi del martirio.

Il dramma, datato 1935, in forma di tragedia classica, ha costituito una fra le più incisive e significanti pagine di letteratura tragica di ogni tempo.

La storia come riportata nell’originale script e pressochè fedelmente trasposta, si conclude con l’uccisione nel 1170 proprio in Cattedrale di Thomas Becket ad opera di quattro cavalieri inviati dal Re Enrico II, dopo vari alterchi, pur se il focus è tutto sul rovello interiore dell’Arcivescovo, che deve intraprendere una gravosa pugna contro tutti e tutto nella strenua difesa dei propri ideali.

Lo script di genere sacro, in versi, trae genesi da quello del monaco testimone oculare dell’accadimento, tal Edward Grim; su input dell’editore Eliot trasformò parte del materiale originario in un autonomo poema, con intitolazione “Burnt Norton”.

La prima assoluta della rappresentazione il 15 giugno 1935, a Canterbury, si è tenuta nella Sala Capitolare della Cattedrale di ambientazione.

La prima rappresentazione italiana è intercorsa, invece, nel 1940 al Teatro dell’Università di Roma. Giova annoverare altresì la significativa riduzione cinematografica con distribuzione del 1952, direzione di George Hoellering e sceneggiatura dello stesso Eliot, presentata alla mostra del Cinema di Venezia nel 1951. L’Autore ha peraltro prestato voce fuori campo ad uno dei quattro tentatori. La raffigurazione del celeberrimo Scrittore statunitense, naturalizzato britannico, un gigante nel panorama, letterario e non solo, in una finestra della cattedrale in parola dà la misura della sua reputata autorevolezza.Anche “Becket e il suo re”, lungometraggio storico-drammatico del 1964, adattato dallo script a firma di Jean Anouilh e Lucienne Hill, interpretato dai mostri sacri Richard Burton e Peter O Toole, con la presenza dei nostri Paolo Stoppa e Gino Cervi, e la regia di Peter Glenville, ha dato splendidamente conto della affettuosa amicizia fra i due, mutata in fatale contesa.

Degna di menzione anche l’Opera del 1958 “Assassinio nella cattedrale”, tragedia per musica composta da Ildebrando Pizzetti, su proprio libretto e ispirata al dramma omonimo.

Il potere civile e quello spirituale in diuturna lotta nel mese di dicembre 1170 (fra il 2 e il 29), dunque.

Al coro, alla stregua del dramma antico di derivazione greca, si è attestato l’essenziale e toccante ruolo di preannunciare gli eventi, a mezzo loro premonizione e sottolinearne poi il prosieguo e se ne è ammirata la componente mistica insita.

Poi ecco in scena tre sacerdoti che esprimono tema per l’accresciuto potere temporale del Re in costanza della continuativa assenza di Becket, il cui arrivo è però preannunciato da un araldo. L’Arcivescovo parla senza mezzi termini dell’accettazione del martirio quale dato ineluttabile, mentre è tentato da tre figure sataniche che vorrebbero indurlo a salvarsi, o perlomeno a morire senza cadere nella gloria del martirio. Becket resiste, fermo nei suoi intenti.

Poi il sermone nel giorno del Natale che, oltre ad illustrarne l’importanza spirituale, rimanda a considerazioni sul martirio in generale e sul proprio, che si avvicina.

Segue una impostazione in stile moderno, con il cavalierato reale che pur se non è stato propriamente mandato dal monarca, ha interpretato il disappunto regale su Becket quale implicito ordine di ucciderlo per tradimento.

L’Arcivescovo confuta la tesi, si dichiara leale e ingiunge loro che attende una accusa pubblica…facendo con ciò infuriare i cavalieri, ai quali è sottratto dai sacerdoti che vorrebbero fuggisse per trarsi in salvo e al contempo liberarli dal pericolo indiretto.

Al rifiuto di Becket, che ancora una volta si professa pronto alla morte e si eleva in tutta la propria titanica individualità, fronteggiando uno Stato miope, riecco il Coro annunciarne la ferale fine e infine la nuova irruzione dei cavalieri per l’attuazione del misfatto.

In chiusura i cavalieri,in uniforme fascista, si affannano per sostenere la oggettiva necessità di mettere un argine alla pericolosissima possibilità che la Chiesa possa minare il potere temporale.

Una potente pièce, Produzione Centro Teatrale Bresciano Progetto Teatrando e Abc, che per un’ora e trenta minuti circa, senza intervallo, ha avvinto gli spettatori che hanno gremito la platea e la tribuna, spendendosi in meritate manifestazioni prolungate di gradimento.

Le scene con rimando alla sala dell’arcivescovo e poi alla navata della Cattedrale, con i lumini accesi a renderne l’atmosfera del giorno natalizio, di Salvo Manciagli e il disegno di luci di Santi Rapisarda, entrambi davvero lodevoli, così come le musiche evocative e ben strutturate di Massimiliano Pace, i costumi curatissimi e consoni di Sartoria Pipi, Palermo e le foto di scena attestate al valente Tommaso Le Pera, hanno generato ulteriore valore aggiunto, impreziosendo vieppiù la piece.

Al termine credo sia prevalsa nel pubblico la sensazione di essere stati testimonial di uno spettacolo difficilmente ripetibile nella sua perfezione luminosa,ove ogni componente, dalla recitazione priva di sbavature e con l’anima, per così dire, alla direzione, al contest scenico, agli abiti e accessori solenni e/o alle macabre divise, alle melodie, ha formato perfetto amalgama, tanto perturbante e emozionante da lasciare segno indelebile, scuotendo le coscienze pietrificate del nostro presente, tanto tragicamente assonante con l’oscurità medievale, e con i tempi di nero buio delle sussistenti dittature.

Lo sfondo manipolatorio è una costante storica che indirizza, e decide anzi sugli umani destini, generando sovente impossibilità di evidenziarne le coercizioni, mascherate da libertà e democrazia di facciata.

Come già detto la prima rappresentazione del ‘35, proprio nei luoghi ove la vicenda reale era germinata, giustifica il rimando operato al nazismo,che stava andando pericolosamente verso una catastrofica ascesa e anche la versione attuale narra la trasversalità della storia, in un contesto atemporale che, mentre parla dei Plantageneti, rinvia ad una dimensione generale e priva di contingenze storico-temporali.

Un meraviglioso canto desolato

La libertà e la costrizione quindi, a confronto in questo sofferto percorso fra opposti, che mette il focus sulla grande storia, ma anche sulle “piccole” vicende personali. Anche la narrazione assai piena di ombre intorno ai sicari, che richiama la mancanza di certezza sul mandante regale e dunque sulle Sue precise responsabilità, connota l’ambiguità di un potere inafferrabile e ricattatorio nella sua interazione (quasi assente) con gli individui.

In conclusione questo meraviglioso canto desolato di costrizione alla rinuncia ad ogni proprio credo, degli ultimi giorni di Becket, tormentato da dilemmi morali mentre la monarchia diveniva sempre più minacciosa, merita sicuramente di essere annoverato fra le performance più toccanti mai rappresentate.