Uto Ughi attrae il pubblico delle grandi occasioni

Uto Ughi attrae il pubblico delle grandi occasioni

giovanni francio

Uto Ughi attrae il pubblico delle grandi occasioni

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domenica 16 Dicembre 2018 - 07:00
Accademia Filarmonica, V. Bellini

Dopo Ashkenazy, un altro mostro sacro della musica del secondo novecento, il grande violinista Uto Ughi, accompagnato da Alessandro Specchi al piano, si è esibito venerdì sera a Messina, per la stagione musicale dell’Accademia Filarmonica. Concerto in abbonamento, che ha fatto registrare praticamente il tutto esaurito al Palacultura, a differenza di quanto è avvenuto lo scorso 30 novembre al Teatro Vittorio Emanuele in occasione del concerto di Ashkenazy, fuori abbonamento, il cui elevato costo del biglietto ha fatto sì che solo la seconda galleria risultasse gremita.

Uto Ughi, reduce da un problema di salute che ha fatto rinviare la data del concerto, previsto originariamente per il 7 dicembre, ha totalmente stravolto il programma di sala. Nella prima parte, al posto della prevista Sonata di Leclair, il duo ha eseguito la splendida Ciaccona di Tomaso Vitali, compositore bolognese dell’epoca barocca, un brano austero dai toni severi e drammatici, degno delle più celebri ciaccone di Bach ed Handel. Dopo la Ciaccona, ha fatto seguito il piatto forte della serata, la Sonata in la maggiore op. 47 n. 9 per violino e pianoforte di Ludwig Van Beethoven, la celeberrima “Sonata a Kreutzer”.

A differenza di altri generi musicali da camera, come i quartetti d’archi, le sonate per pianoforte e le sonate per violoncello e pianoforte, il genio di Ludwig Van Beethoven, pur raggiungendo talora delle vette altissime, nel genere della sonata per violino e pianoforte non è stato un grande innovatore; la grande innovazione in quel campo era stata già compiuta prima di lui da un altro grandissimo compositore, Wolfgang Amadeus Mozart.

In epoca barocca le sonate per violino e cembalo si caratterizzavano dall’assoluta predominanza del violino, fungendo il cembalo soltanto da basso continuo. Successivamente, nella metà del settecento, le parti si invertirono totalmente, il pianoforte (prima cembalo, poi forte-piano) assunse il compito di solista, mentre il violino si limitò ad eseguire il ripieno o comunque ad accompagnare. Con Mozart, soprattutto nelle ultime sue sonate, il violino ed il pianoforte hanno pari dignità, intessendo un dialogo fra i due strumenti che rappresenta la nascita della moderna sonata per violino e pianoforte.

La sonata a Kreutzer tuttavia costituisce l’eccezione a tale assunto, almeno limitatamente al primo movimento. Infatti, pur non eguagliando in equilibrio e perfezione formale le ultime sonate di Mozart e la stessa ultima di Beethoven (la sonata in sol maggiore op 96), il carattere concertante del primo tempo, “Adagio sostenuto. Presto” di imponente lunghezza, dal forte carattere drammatico, ricco di temi indimenticabili, con un continuo serrato dialogo fra violino e pianoforte, pone la sonata in una dimensione nuova e diversa da tutte quelle che la hanno preceduta. Si passa infatti dalla sonata cameristica a quella concertante, occasione anche per esibire il virtuosismo dei solisti.

L’eccezionale dimensione sia per quanto riguarda la durata, sia per la forte componente drammatica, a volte sinistra, ha reso questa sonata forse la più popolare fra le sonate per violino e pianoforte mai composte, capolavoro oggetto di riferimenti letterari – come non citare l’omonimo celebre racconto di Tolstoj, ove il primo movimento diviene galeotto di amore clandestino fra i due esecutori, Liza e il violinista amico del marito Pozdnysev, almeno nella fantasia di quest’ultimo – e musicali – “Sonata a Kreutzer” è intitolato il primo, bellissimo quartetto di Janacek – . Gli altri due movimenti, un sereno “Andante con variazioni” e un “Finale: Presto” pieno di brio, che concludono la sonata, appaiono, anche se pur sempre di elevato livello artistico, più convenzionali rispetto al primo, e stemperano la tensione drammatica dell’Allegro iniziale. La sonata deve il suo nome a Rudolph Kreutzer, un violinista stimato da Beethoven, che, incredibile a dirsi, non la apprezzò.

Uto Ughi ha eseguito la sonata proprio con il violino di Kreutzer, e ciò ha reso l’evento ovviamente ancor più affascinante. Mentre Uto Ughi è stato superbo nell’esecuzione della Ciaccona, forse ci si aspettava di più dalla Sonata a Kreutzer, eseguita sicuramente in maniera impeccabile e lineare dal punto di vista tecnico, ove il violinista ha ancora una volta dimostrato la sua assoluta padronanza dello strumento e dei brani proposti, eseguiti tutti a memoria, ma forse un po’ troppo accademica, priva di carattere, di quella energia, di quella esuberanza che una sonata di tal fatta richiederebbe. Anche il pianista, che solo in questa Sonata (rispetto agli altri brani proposti nella serata ove funge solo da accompagnamento del violino) ha un ruolo di grande rilievo e paritario rispetto al violino, ha dato l’impressione di eseguire diligentemente il suo compito, in modo incolore e senza verve. Ho riascoltato una registrazione in vinile di parecchi anni fa di questa celebre sonata, ove Ughi era accompagnato da Sawallisch al piano, una esecuzione straordinaria; è probabile che i problemi di salute recentemente sofferti abbiano talora un po’ compromesso la performance, e ciò forse spiega anche il cambio di programma rispetto a quello di sala.

Nella seconda parte del concerto infatti, al posto dei previsti brani di Wieniawsky, il violinista ha proposto due brani che figurano stabilmente nel suo repertorio e dei quali è padrone assoluto: la celebre “Fantasia sulla Carmen” di Pablo de Sarasate, e la “Campanella”, riduzione per violino e pianoforte del terzo movimento “Rondò” del celeberrimo concerto n. 2 in si minore op. 7 per violino e orchestra di Niccolò Paganini, rispettando il programma solo con “Introduzione e rondò” di Camille Saint Saens. Si tratta di composizioni di sicuro effetto: nella Fantasia si ascoltano alcuni fra i più celebri temi della Carmen di Bizet, fra cui la celebre Habanera; la Campanella è un brano di carattere virtuosistico, assai noto anche nella versione per pianoforte di Franz Liszt, dal tema indimenticabile; il brano di Saint Saens, dopo una introduzione di carattere lirico, si sbizzarrisce in un rondò dal ritmo spagnoleggiante. Sono tutte composizioni ove il violino è assoluto protagonista, e Uto Ughi ha potuto sfoggiare il suo virtuosismo sempre caratterizzato dalla nitidezza del fraseggio, dalla limpidezza e pulizia del suono, anche nei passaggi più difficili e rapidi, dal meraviglioso modo di rendere il “cantabile”, intensamente lirico ma equilibrato, mai scomposto.

Molto bello, anche se breve, il bis concesso, “Humoresque” n. 7 dall’op. 101 di Antonin Dvorak. Uto Ughi si è spesso intrattenuto con il pubblico, introducendo i vari brani, anche con preziosi aneddoti storici, come ad es. l’entusiasmo di Franz Schubert, che ebbe ad affermare “ho ascoltato un angelo” dopo aver sentito Paganini a Vienna, in un concerto, per assistere al quale, lui perennemente povero in canne, spese tutti i suoi soldi. È comunque sempre un enorme piacere assistere alle esibizioni di questo monumento del violino, che rappresenta anche uno straordinario divulgatore della musica, speriamo di rivederlo presto.

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