Grecia e Italia, una faccia, una razza e una bancarotta?

Il 20 Ottobre abbiamo raccontato cosa è accaduto, in un passato non troppo lontano, ai Paesi che hanno dichiarato bancarotta. Abbiamo anche esaminato cosa sta accadendo nel Paese più mal amministrato d’Europa: la Grecia.
Tutti quanti però sono d’accordo che bisogna mettere in galera i responsabili dei disastri economici , per lo più speculatori e banchieri (sinonimi?) pagati milioni di euro anche quando le loro aziende chiudono i bilanci in profondo rosso.
E’ facile indignarsi di fronte alla società in cui siamo, alle sue inefficienze e alle sua ingiustizie, ma bisogna capire che l’economia globalizzata è una sorta di gabbia entro la quale ci siamo chiusi negli ultimi vent’anni. Che ci ha permesso di avere un’automobile e mezza per famiglia, di cambiare cellulare tre volte l’anno, di comprare un kg di patate la metà di una lattina di Coca Cola, ma dalla quale è impossibile uscire senza versare lacrime e sangue.
Tornando al dramma che sta vivendo l’Europa, una delle conseguenze che i Paesi più deboli devono affrontare è la riduzione della loro autonomia. Le regole della democrazia dicono che solo chi è eletto dai cittadini ha il diritto di decidere per essi. Oggi non è più esattamente così: la signora Merkel e il signor Sarkozy hanno certamente un formidabile peso nelle scelte del nostro Governo.

Anzi, c’è chi insinua che ne hanno di più di Berlusconi e Tremonti messi insieme. O di Bersani, Vendola e Di Pietro. Che criticano (giustamente) l’inerzia del Governo ma, appena la Ue dice che dobbiamo alzare l’età del pensionamento per anzianità o che si deve togliere agli enti locali la gestione diretta dei trasporti pubblici, della raccolta della spazzatura e della distribuzione dell’acqua, evitano di pronunziarsi o si dividono tra i Sì, i No e i Nì.
Mentre restano graniticamente uniti nella critica al rottamatore Renzi.
Questo deficit di autonomia decisionale è avvertito da tutti i Paesi deboli e la Grecia, dilaniata dagli scioperi e dalle proteste di Indignati, disoccupati e pensionati alla fame, si trova davanti a una scelta drammatica: subire i “suggerimenti” dei banchieri della Ue e del Fondo Monetario, oppure mandare al diavolo la Ue e dire a tutti quelli che hanno sottoscritto titoli di Stato greci: Posso restituirti solo il 20% del denaro che mi hai prestato. Se l’accetti bene, se mi dici no, non ti do neanche quello.

Come fece l’Argentina nel 2002, con tutte le conseguenze che ne derivarono.
Così il Primo ministro Papandreou ha deciso di indire un referendum per sapere se i Greci vogliono accettare il pacchetto di aiuti europei – e le relative prescrizioni – o meno.
Sia dire Sì che dire No, apre prospettive inquietanti per il futuro delle categorie più deboli del Paese ellenico: il No attrae, anche per ragioni di orgoglio nazionale, ma sarebbe una tragedia per moltissimi risparmiatori greci. Non sarebbero i soli, però: anche decine e decine di istituzioni finanziarie del mondo piangerebbero lacrime amare per le perdite che sarebbero costrette a subire. A cominciare dalle banche tedesche e francesi, che per anni hanno acquistato titoli greci, ben liete di lucrare interessi molto superiori a quelli pagati dai titoli emessi dai rispettivi Paesi.
Naturalmente, Sarkozy è sbottato, definendo irresponsabile la decisione del Governo greco di fare scegliere al popolo. E mezza Europa addossa ipocritamente alla Grecia la colpa del terremoto di inizio Novembre.
Forse però dovremmo iniziare a riflettere su come voteremmo noi al loro posto.