Ordini e contrordini della Soprintendenza, al via i lavori di ristrutturazione. E la strana vicenda della “gabbiola” finisce al Tar

“Io [a Messina] ci ho passato i cinque anni migliori, più operosi, più lieti, più raccolti, più raggianti di visioni, più sonanti d’armonie della mia vita”. Era il 5 luglio 1910. Giovanni Pascoli scriveva una lettera a Ludovico Fusco e narrava di quel lustro di tempo trascorso nella città dello Stretto, insieme alla sorella Mariù, per insegnare Letteratura Latina nell’Ateneo cittadino.

Dall’iniziale sistemazione al secondo piano di Via Legnano, nel numero civico 66, ben presto il poeta si trasferì a Palazzo Sturiale, adiacente a Piazza Risorgimento, oggi nota come Piazza Don Fano.

Ed è proprio attorno a quel palazzo, impronta storica pascoliana, che da anni ruotano iniziative, idee, spinte culturali, ma soprattutto denunce di abbandono, richieste di intervento e, oggi più che mai, un’accesissima polemica.

Dall’affissione della targa commemorativa con l’iscrizione di Aldo Di Blasi, fortemente voluta dal comitato cittadino “100 Messinesi per Messina 2008”, all’approvazione dell’inizio dei lavori per il rifacimento della facciata, all’effettivo inizio della ristrutturazione di un palazzo ritenuto sì storico ma anche pericolante, di anni ne sono passati tanti.

Ma quel che oggi si colloca al centro della polemica, tanto da far scomodare per ben due volte il Tar di Catania, è, nello specifico, la struttura amovibile adiacente al palazzo e collegata al noto ristorante giapponese della ditta Bomipare S.r.l. Attorno alla nascita di quella che è ormai conosciuta come la “gabbiola” di piazza Don Fano ruotano le vicissitudini di quattro anni di progetti, approvazioni, ritirate, ordinanze, paventati abusi, visite della Polizia Municipale, ordini e contrordini della Soprintendenza.

Tutto ha inizio nel 2010 quando alcuni ragazzi messinesi, tutti under 30, decidono di intraprendere un’attività imprenditoriale originale. E decidono di farlo esattamente in quel Palazzo Sturiale dove, anni or sono, vi ha sostato Pascoli.

La loro idea è quella di affittare uno spazio interno e poi di chiedere la concessione del suolo pubblico e installarvi una struttura amovibile. Chiedono parere alla Soprintendenza la quale detta i propri parametri, nonostante una sentenza del Tar avesse di fatto già annullato il vincolo. A fine aprile 2010, il progetto viene presentato con un ampio rendering fotografico, con una struttura in vetro, e riceve parere favorevole, con alcune condizioni legate alle distanze. Qualche mese dopo, approvazione anche da parte del Comune che, dopo aver visionato tutti i pareri favorevoli, invia il suo ok.

La struttura, così, viene eretta. L’anno successivo, nel novembre 2011, quando ormai i riflettori sulle condizioni di degrado della Casa in cui ha vissuto Pascoli si sono accesi a livello regionale e nazionale, giunge l’autorizzazione per l’inizio dei lavori di restauro del palazzo e, al contempo, alla ditta Bomipare viene imposta la rimozione della gabbiola perché non conforme alle condizioni iniziali. Un anno dopo, la situazione appare invariata: i lavori di ristrutturazione non sono iniziati, la gabbiola è nello stesso posto e la Soprintendenza chiede al Sindaco l’ordinanza di rimozione.

Nel frattempo, con una firma, provvede anche all’annullamento del primo parere favorevole, ossia quello dato nell’aprile 2010, decretando di fatto l’abusivismo della stessa gabbiola. La ditta allora fa ricorso al Tar e non esclude, al contempo, una richiesta di risarcimento danni alla stessa Soprintendenza in quanto, da quel lontano aprile 2010, tanti soldi sono stati investiti per l’avvio dell’attività imprenditoriale e per il mantenimento della stessa. Il Comune, dal suo canto, vistosi annullare il parere favorevole del 2010, emana l’ordinanza di rimozione. Anche in questo caso, la ditta Bomipare decide di ricorrere al Tar e, solo pochi mesi fa, arriva la sentenza: l’ordinanza di rimozione del Comune è annullata e, anzi, lo stesso Comune è costretto a pagare un risarcimento.

Da un punto di vista giuridico si direbbe dunque che la gabbiola di Piazza Don Fano è “sub judice”, ossia la controversia è ancora aperta e si attende che a porvi fine sia una sentenza o atto amministrativo. Qualora il giudice ci dicesse che non siamo in regola, leveremmo la struttura il giorno stesso – ha dichiarato la ditta Bomipare – Stiamo combattendo per un interesse legittimo e, fin quando saremo nel giusto, cercheremo di tutelare legalità, rispetto delle regole e anche i posti di lavoro che diamo”.

Una vicenda che, dunque, continuerà a far parlare di sé, soprattutto considerando che da poche settimane sono iniziati i lavori di ristrutturazione del Palazzo, sotto la vigilanza dell’architetto Irene Ruggeri nonché della Soprintendenza. Diatribe a parte, il fine ultimo sarebbe quello di trasformare Casa Pascoli in un vero e proprio Museo così come già esiste, ad esempio, a San Mauro Pascoli nella Provincia di Forlì-Cesena. Gabbiola sì o gabbiola no, come disse il poeta, l’augurio è sempre che “la nostra Messina risorga più bella di prima”.

Veronica Crocitti