Ci scusi prof Bottari se lo abbiamo rimosso, la verità non ha data di scadenza

Non è mai troppo tardi per la verità nè per la giustizia. A volte i due termini coincidono, a volte no. Non è mai troppo tardi perché la verità non ha una data di scadenza, è lì, cristallizzata in un attimo.

Era lì, la verità, all’incrocio tra il viale Regina ed il Viale Annunziata, al semaforo, là dove oggi c’è la rotonda. Era lì, la verità, cristallizzata nell’attimo poco dopo le 21 del 15 gennaio 1998, quando il professor Matteo Bottari, che stava rientrando a casa a bordo della sua Audi, fu avvicinato dai killer e massacrato con una lupara caricata con i pallettoni che si usano per la caccia al cinghiale.

Pensavo a questo la sera di lunedì scorso, 15 gennaio 2018, mentre con le lacrime agli occhi il presidente dell’Ersu Fabio D’Amore intitolava la Casa dello studente al “suo” professore, mentre Ciccio Rizzo tuonava: “provo vergogna davanti alla famiglia per questa Messina incapace di dare giustizia”. Pensavo a tutto questo mentre si scopriva una targa “illuminata”, l’unica che la città ha realizzato in 20 anni di silenzi per questo suo illustre figlio che non ha avuto né giustizia né tantomeno verità. Pensavo a tutto questo mentre guardavo la vedova, Alfonsetta Stagno d’Alcontres ed il figlio Antonio, ed ammiravo la loro compostezza nell’immenso dolore di questi decenni.

Ha ragione Ciccio Rizzo, dovremmo chiedergli scusa tutti. E non soltanto perché la verità e la giustizia non sono mai arrivati, o forse non le abbiamo cercate abbastanza. Non soltanto. Dovremmo chiedere loro scusa perché abbiamo RIMOSSO quella morte, lasciando che per 20 anni, ogni 15 gennaio soltanto uno sparuto gruppo di dolenti mantenesse accesa la fiaccola. I ragazzi del circolo di azione giovani “Quo Usque Tandem”, poi i giovani (ora non più giovani) di Atreju e di Vento dello Stretto, gli amici, i familiari. C’è un libro su questa morte, sul mistero, a firma dei colleghi Roberto Gugliotta e Gianfranco Pensavalli. Leggetelo.

Vergogna è la parola giusta per una città che è scesa in piazza per chiedere giustizia e verità su centinaia di morti di mafia, ‘ndrangheta, camorra, per ogni efferatezza e violenza, ma ha rimosso quel 15 gennaio.

Questo omicidio eccellente è rimasto insoluto ma soprattutto è l’unico che è stato CANCELLATO, c’è stata una rimozione collettiva, proprio perché eccellente, proprio perché da quella sera del 1998 si erano accesi i riflettori su quei PALAZZI che dovevano restare in ombra.

Della dinamica, del “come” avvenne, sappiamo tutto. Non sappiamo il perché, eppure è proprio in quel “perché” che risiede la verità.

La nostra responsabilità, come comunità, non sta nel non aver ritrovato gli assassini e i mandanti, ma nell’aver contribuito alla rimozione. Se dimentichi qualcuno diventa superfluo se è stato ucciso dal destino, da un tuono, o dalla mano di qualcuno. Eppure il professore Matteo Bottari non era una persona qualunque. Professore di diagnostica e chirurgia endoscopica dell’Università, docente di numerose scuole di specializ­zazione della facoltà di Medicina, Matteo Bottari svolgeva l’attività chirurgica an­che presso cliniche private a Messina ed in Calabria. Amatissimo dai suoi studenti e collaboratori, era uno di quei professionisti che, per dirla col gergo di oggi “ha deciso di restare qui”. Genero dell’ex rettore dell’Ateneo Gu­glielmo Stagno d’Alcontres era il pupillo del Rettore dell’epoca, Diego Cuzzocrea, che con la famiglia gestiva la clinica privata Cappellani, dove lo stesso Bottari operava da alcuni mesi. I sicari conoscevano le abitudini del docente e lo aspettarono fuori dalla clinica, per poi freddarlo quando si fermò al semaforo. Diverse le piste seguite, dai contrasti nel mondo accademico e del Policlinico, alle competizioni tra “baroni”, fino alle gare d’appalto per le forniture di farmaci o quelle per la ristrutturazione ed ampliamento di un padiglione. Molte piste portavano in Calabria, al mondo della ‘ndrangheta ed a quei fili che in quei decenni univano il mondo universitario con la sponda opposta.

Da quel 15 gennaio tutta l’Italia ci guardò. Furono i mesi del “Caso Messina”, di quello che l’allora vicepresidente della Commissione nazionale antimafia Nicky Vendola definì “verminaio”, furono i mesi degli imbarazzi, di paure eccellenti, di dimissioni, di depistaggi.

Un delitto di mafia, ma anche di soldi, tanti soldi e di affari”, dichiarò l’allora superprocuratore antimafia Pierluigi Vigna. La città venne descritta come il “verminaio”, dominata dal "grumo d'interessi" politico-affaristico-mafiosi che ruotavano intorno agli appalti dell’Università e del Policlinico.

Successe di tutto, l’allora sottosegretario agli Interni Angelo Giorgianni (ex capo del pool mani pulite messinese durante tangentopoli) si dimise. Il rettore Cuzzocrea denunciò d’aver ricevuto minacce di morte (così come il pro rettore e il segretario generale) poi a maggio si ricandidò e venne rieletto, ma un mese dopo si dimise perché accusato d’aver simulato le minacce.

In estate fu indagato il professore Giuseppe Longo, gastroenterologo e collega di Bottari. Longo sarà scagionato. Finirà coinvolto nell’operazione Panta Rei (inchiesta sulle presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta nell’Ateneo peloritano), ed assolto. Alcuni anni fa si è tolto la vita. Uscito da ogni vicenda giudiziaria scrisse una lettera a proposito dei 15 anni di tritacarne mediatico-giudiziario, finiti i quali, da assolto, il suo nome non faceva più notizia.

Da giornalista ho seguito molte battaglie per la giustizia, ma il caso Bottari è diverso da tutti. Ricordo la prima volta che vidi per Televip, la vedova. Non amava i riflettori. In questi 20 anni il suo dolore immenso non si è mai trasformato in rabbia plateale. Non l’ha mai urlato in faccia a nessuno. E in tempi di “mediaticità” questo suo dolore muto, composto, è stato sepolto.

Il caso Bottari è diverso perché l’abbiamo volutamente rimosso. Non ci sono state commemorazioni eccellenti, targhe, convegni. Non voglio fare graduatorie da vittime di mafia ma c’è qualcosa che non va. E’ tutta qui la nostra messinesità, quella paura di andare a rovistare in quelle stanze dove “non si deve”, “non sta bene”. Un conto è cercare i killer tra la manovalanza, i mandanti nel ventre molle della Sicilia mafiosa, un altro è addentrarsi nelle sabbie mobili.

E’ una ferita nascosta, è come se volessimo nascondere le cicatrici perché rappresentano la prova che qualcosa è successo e ci ha divorato la carne.

Mi piacerebbe, sia pure 20 anni dopo, andare a cercare in quella giungla. I perché. Non il come, perché lo sappiamo, ma i fili che portano indietro nella vita di Matteo Bottari a quell’attimo.

Mi piace molto sia la targa realizzata, così luminosa, perché la verità deve apparire alla luce del sole, sia il luogo scelto: la Casa degli studenti.

In quella targa vedo un messaggio. Ed è questo: noi crediamo ancora che la verità possa emergere alla LUCE DEL SOLE, uscire dall’ombra.

Alla vedova ed al figlio cresciuto in una città cieca e sorda non resta che chiedere scusa perché il loro dolore silenzioso e puro, non ci autorizzavano a seppellirne la memoria, e con essa anche il diritto alla verità.

Rosaria Brancato