Smettiamola di lamentarci, usiamo la voce, il coraggio e qualche “moffa”

Oggi ho deciso di non rovinare la domenica dei lettori di Tempostretto con l’ analisi di episodi di malapolitica, crisi dei partiti e via dicendo.

Ho deciso di non arrabbiarmi, visto che è Pasqua, e di dedicarmi ad un’altra riflessione. A me della parola resurrezione piace l’aspetto “carnale”,quello concreto, quello di San Tommaso che non crede che è possibile sia accaduto e finché non tocca non se ne fa una ragione. A me della resurrezione piace il messaggio umano,quello che ci dice che ognuno di noi, qualsiasi difficoltà si sia trovato ad affrontare, qualsiasi croce,qualsiasi flagellazione, qualsiasi persecuzione, alla fine troverà dentro sé la forza per “rinascere” a nuova vita che non è nuova nel senso di altrove ma nuova perché rinnovata. E infatti la Pasqua è in primavera. Però non dobbiamo aspettare la manna dal cielo, perché se stai sempre con il naso in su e aspetti un cenno finisce che non vedi le buche per terra,e a Messina ce ne sono assai, e vai a sbattere. Penso che ci siamo lamentati abbastanza. Abbiamo passato gli ultimi tempi a piangere per le ingiustizie che questa città ha subito, gli scippi, i tagli, i depauperamenti. Abbiamo passato gli ultimi tempi con la testa voltata indietro a dare la colpa ad altri ma quando ti giri indietro, lo insegna la Bibbia,diventi una statua di sale. Allora smettiamola di voltarci indietro, altrimenti diventeremo tutti di sale, una città di sale. Io non sono né l’arcivescovo, al quale non ruberei mai il mestiere ed oggi è “il giorno suo” ma voglio augurare ai lettori una Buona Pasqua. L’unico modo che abbiamo per festeggiarla è la speranza che siamo noi a rialzarci. La speranza è un atto creativo, è la speranza e non la paura, che ti spinge ad alzarti in piedi e a realizzare i tuoi piccoli e grandi sogni. Così come Gesù ha spostato la pietra dal sepolcro ed è uscito anche noi dobbiamo riuscire a togliere le pietre che anni ed anni di indifferenza e interessi poco collettivi e molto individuali hanno messo sopra la nostra città. Sopra Messina c’è proprio una pietra tombale e dobbiamo toglierla, allenare i muscoli per spostarla e contribuire alla rinascita in modo concreto, in questa terra bellissima in riva allo Stretto e non altrove. Sto lavorando ad un pezzo che s’ intitola: “Messina come un villaggio, lo schiaffo di Crocetta ai politici dello Stretto”. La lettura della proposta del governo regionale sui tagli agli enti locali mi ha indignato. Parte da un assunto matematico, abbiamo poco più di 241 mila abitanti, quindi gioco forza rientriamo nel gruppo dei “medi” tra i 100 mila abitanti (poco più di Ragusa) e i 250 mila. Siamo con Siracusa e,per volere di Crocetta, con Enna che pur avendo meno di 100 mila abitanti viene inserita, grazie ad un “asterisco” nella norma, in questa fascia. Voi direte, chi se ne frega in che fascia siamo. Non è così, perché inserendoci tra i “medi”, ci declassa, avremo meno assessori (scenderemo a 6),meno consiglieri, meno tutto. Non sto parlando di stipendi, sto parlando di amministratori che DEVONO dedicarsi a tempo pieno alla comunità ed a queste condizioni non potranno farlo. A Reggio Falcomatà, con 181 mila abitanti ha 9 assessori. Contemporaneamente ci dicono che siamo Città Metropolitana, ma di serie B. Approfondirò successivamente i dettagli di quella norma che considera Messina non la terza città della Sicilia ma un piccolo comune,quel che mi preme sottolineare è che dobbiamo alzarci e dire che no, Messina non è un villaggio e deve stare nella stessa fascia di Palermo e Catania. Gli unici che possono ricordare a Crocetta che è stato eletto grazie ai voti di quella stessa Messina che oggi vuole rendere periferia sono i nostri deputati regionali, tocca a loro pretendere dignità per Messina. Tocca a loro oppure scriverò tutti i giorni fin quando questa norma non viene cancellata,o almeno, anche se passa, non passerà con i voti dei deputati messinesi. Tocca ai messinesi difendere Messina, non possiamo aspettare doni dal cielo, ma soprattutto non dobbiamo consideralo un regalo.

Messina non è lo sgabuzzino della Sicilia che si apre solo quando servono i voti.

Se ognuno di noi ci pensa si fa venire un’idea concreta per toglierci questa pietra tombale di sopra, insieme ci riusciremo. Quel che ho detto per la deputazione regionale che deve alzarsi in piedi vale per tutto il resto. Non basta contrattare con il governatore per un assessore a Palermo o un sottogoverno se poi ci toglie pari dignità con un emendamento. A tutti gli eletti, in ogni ordine e grado, opposizione e maggioranza, soprattutto quelli che hanno dimenticato in quale punto del mappamondo è Messina, dobbiamo ricordare periodicamente grazie a chi sono lì e non perché vogliamo in cambio un favore,una licenza, un posto di lavoro,ma perché vogliamo il trattore che sposterà quella pietra tombale che ci sta togliendo l’aria nel sepolcro. All’amministrazione Accorinti dobbiamo ricordare che è stata eletta non “per” ma “contro”, è stata un’elezione per odio e rancore contro il vecchio sistema e quindi sarebbe bene che la smettessero di lamentarsi dei danni fatti da quellicheceranoprima perché li conosciamo benissimo ma ci piacerebbe andare oltre, vedere i fatti. A lamentarci riusciamo benissimo da soli.

Se vogliamo che Messina risorga tocca a noi. Dobbiamo alzarci e battere i pugni, anche quando pensiamo che questo ci costerà qualcosa rispetto a posizioni acquisite o turberà il nostro quieto vivere. Abbiamo trascorso gli ultimi mesi a lamentarci degli scippi, la Camera di commercio, l’Autorità portuale, Bankitalia, l’ospedale Piemonte, i treni, iferribotte, metromare, la continuità territoriale, a fare battaglie per non farci togliere le briciole, a difendere la coperta vecchia e infeltrita. Cantiamo vittoria quando ci lanciano un tozzo di pane, spacciamo per conquista un vagone letto anni ‘50. A me piace lo slogan dell’Orsa: Noi vogliamo tutto. Insomma qualcuno deve alzarsi e farsi valere. E’ arrivato il momento di darla qualche “moffa”, non possiamo sempre limitarci alle battaglie di retroguardia. Perché, chi pecora si fa lupo se la mangia. Se noi pensiamo in piccolo gli altri ci vedranno piccoli. Ci stanno chiudendo l’ospedale Piemonte? Andiamo nell’ufficio della Borsellino a sdraiamoci sulla scrivania fin quando non cambia il piano di riordino della rete ospedaliera. Vogliamo che la Camera di commercio sia autonoma? Denunciamo per primi le “macchie” e i lati oscuri e poi presentiamo un progetto che crea lavoro e non stipendi. I tir scorazzano in città come negli anni ’90? Torniamo indietro di 20 anni e riprendiamo i cartelli e le fiaccole di Saro Visicaro, torniamo sul Boccetta a protestare, gridiamo che Messina è nostra, non è un tappetino, non è servitù di passaggio e che la mia vita non ha prezzo, l’aria che respirano i nostri figli non ha prezzo, l’ossigeno non è barattabile con i soldi. Pretendiamo verità. In tutto, in ogni battaglia, in ogni cosa. Non è vero che non possiamo fare niente per togliere quella pietra tombale, non è vero che possono toglierla solo “quelli che comandano”. Riprendiamoci quella dignità che Gesù ha avuto camminando sanguinante con la croce sulle spalle. Non aspettiamo guardando il cielo perché il cielo siamo noi. Incazziamoci e smettiamola di pensare che l’unica battaglia sia quella di avere l’erba più verde sotto il nostro balcone. Inondiamo di cartoline da Messina chi vuol ridurci a periferia, fermiamo i tir sul Boccetta con le fiaccole, smettiamola di dire grazie quando conquistiamo un centimetro di frontiera come in guerra. Smettiamola di delegare a chi risponde solo al capo perché è stato nominato, smettiamola di accontentarci delle promesse. Usiamo la voce e il coraggio. Smettiamola di aver paura e usiamo la speranza. Smettiamo di aver paura a denunciare, gridare,parlare, sperare. Messina non è ancora morta. Ci stanno provando, la stanno desertificando, ma non è ancora morta. Parliamo, denunciamo, facciamo.

Secondo me Gesù alla fine del suo calvario era arrabbiatissimo, perché la rabbia, quando non è cupa e rancorosa, può essere la molla che ti fa alzare e ti fa fare quella rivoluzione che ti cambia e cambia il mondo. Pure lui sapeva di essere vittima di ingiustizie e si è preso tutte le frustate e le botte possibili, come noi. Però poi, da uomo, è resuscitato. Penso che l’insegnamento più umano sia questo: che anche quando abbiamo perso tutto non abbiamo perso la forza e la dignità per alzarci, combattere e cambiare questa vita, non un’altra. Insomma, smettiamola di lamentarci per le botte prese, alziamoci, usiamo la speranza e qualche “moffa” e cambiamo questa terra, non un’altra, tocchiamo come fece San Tommaso la resurrezione di Messina, fatta da noi, con le nostre mani piene di ferite e la schiena piena di piaghe.

Rosaria Brancato