“American Sniper”, la versione di Clint Eastwood sul conflitto in Iraq

L’ostinato texano Chris Kyle, già cowboy provetto, offre i suoi servigi alle forze speciali dei Navy Seal, arruolandosi nel 1999 dopo un durissimo apprendistato. Nel 2003 parte per l’Iraq, ove in sei anni, 1000 giorni e quattro turni, diviene il cecchino-leggenda, uccidendo 160 nemici americani e tiratore così abile da meritare il soprannome di Al-Shaitan (il diavolo) e cinque medaglie al valore.
Kyle è stato indirizzato dal padre ad essere “pastore di gregge”, per la difesa dei deboli dai lupi famelici e incarna pienamente il suo destino di predestinato, fino a che, reduce che pur sopravvive, soccomberà per il gesto folle di un marine che ha tentato di aiutare, in quella beffa e nonsenso che il conflitto ha generato il lungometraggio d’azione di Clint Eastwood si colloca in modo originale lungo il filo rosso della filmografia che dagli anni ’90 ha provato ad ordinare le configgenti sensazioni generate dal conflitto iracheno, spesso fungendo da supporto ad una legittimazione funzionale della politica governativa americana, da Paul Haggis in “Nella valle di Elah”, Brian De Palma in “Redacted”, fino a Kathryn Bigelow in “The Hurt rocker”. Tratto dall’autobiografia eccezionale del protagonista, il film ci coinvolge fisicamente, trasportandoci idealmente sui tetti insieme al cecchino, per osservare l’assurdità di quella guerra, dominata da regole deliranti, da perimetri di incoerente orrore e seguire Seal che tutela i marines mentre, casa per casa, scovano i cattivi – credendo fino in fondo nel suo mestiere e che, pur nella sua semplicità ideologica, è supportato nella fede incrollabile in un mondo perfetto, senza per questo non essere consapevole delle difficili scelte compiute. Kyle che non dubita mai di essere dalla parte giusta, pur se a fatica, ritrova l’intima misura, è un adulto in grado di ammettere le sue responsabilità, dinanzi a quel Dio cui obbedisce – ed allo psichiatra, curando così le personali ferite. L’epilogo conferisce senso all’indicibile e rende la storia universale.

Il lungometraggio appare lucido, senza sbavature, anche in quel finale ripetitivo nella storia di un Paese, che persiste nel congedare un ennesimo eroe con tre spari e al suono del silenzio. I protagonisti, Bradley Cooper e Sienna Miller, unitamente a Jake McDorman, Luke Grimes e Navid Negahban, risultano convincenti, il primo aderendo alla perfezione al sogno allucinatorio di Kyle, in una escalation di violenza interrotta da barbecue con gli amici, la seconda, nel ruolo della moglie Taya, che, a casa, resta in sua attesa, tirando su i due figli da sola, senza alcuna certezza di un suo ritorno e sopportando, per il profondo sentimento, quella pesantissima situazione. Lo sguardo di Eastwood appare quello di un Patriota innamorato del suo paese e dei valori religiosi e militari, ma non convinto della bontà delle scelte militari americane nell’ultimo ventennio e tale fede (non irrazionale) lo porta a ben confezionare un cecchino professionista, ma pur sempre umano, che rischia la propria vita per proteggere i compagni contro un nemico inafferrabile e a mostraci la sua difficoltà a riadattarsi fra una missione e l’altra, alla vita ordinaria.
In ogni caso non è la violenza il senso ultimo del film, ma sembra che il regista sospenda il giudizio e anzi rivolga il suo benevolo sguardo ad un Chris morto in giovane età per avere servito il suo paese nel bene e nel male, evidenziando come la guerra generi sì dei mostri, capaci però di mantenere una umanità, uomini tormentati, divisi fra il dovere di difesa della patria e la fatica di tornare “normali”, espressa con poche battute e a volte solo con i gesti e lo sguardo, con un’angoscia controllata. Il destino cieco è il “deus ex machina” dell’opera, intrisa di eroismo, di ricerca del pericolo e di una forma identitaria e quel fato appare vorace nei panni di un veterano, che è impazzito in un poligono di tiro. Alla fine, nell’interrogativo di fondo: è più il profondo senso del dovere ad animare la mano di Kyle o l’adrenalina pura? Ovviamente il dubbio si scioglie a favore della prima ipotesi. Il lungometraggio, in conclusione, partito con l’ovvia retorica a stelle e strisce, diventa man mano intimo e straziante e rappresenta la vita che non fa sconti, neanche agli eroi.

In programmazione sugli schermi messinesi presso il Multisala Apollo (auditorium Fasola), con orari 17,30, 20,00 e 22,30, presso il Multisala Iris con orari 18,30 e 21,30, e presso l’UCICINEMAS con orari 15,00, 18,30 e 21,40.
Voto: 7,5
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