“L’ultimo lupo”, una storia vera dalla lontana Mongolia

Cina, 1967. Due studenti di Pechino vengono mandati nella Mongolia interna per "modernizzare" la popolazione delle campagne. Uno dei due è Chen Zhen, il quale, sin da subito resta affascinato dalla cultura dei mongoli, o meglio, di ciò che è rimasto del popolo che riuscì a oltrepassare la Grande Muraglia, che i cinesi Han hanno sempre considerato barbaro. I mongoli sono strettamente legati alla natura e alle sue leggi, ne rispettano il delicato equilibrio,osservato dal dio Tangher, che sorveglia l'immensa steppa della Mongolia. Ma nella steppa c'è un pericolo: il lupo, che rappresenta il vero spirito del popolo mongolo. Il lupo non è un animale impulsivo, sa aspettare pazientemente il momento giusto prima di attaccare. Così, si dice, fosse Gengis Khan, paziente come un lupo.

Il Partito Comunista avanza e così pure la cosiddetta civiltà moderna: gli stolti uomini di città rompono la catena alimentare, tentano di arare la steppa, depredano avidamente, completamente all'oscuro delle conseguenze. La catena alimentare è rotta, l'ecosistema cambia ed il lupo, prima relativamente inoffensivo per l'uomo, non trovando più le gazzelle, sue prede naturali, attacca le greggi e diviene un pericolo. Così il rappresentante del partito decide che i lupi vanno sterminati, partendo dai cuccioli. Comincia una caccia sanguinosa. Si salverà solo un cucciolo, per mano di Chen Zhen; cucciolo che, alla fine della caccia, fino ai confini della steppa, diverrà appunto l'ultimo lupo.

"L'ultimo lupo" non è tanto una storia su un cucciolo, quanto su un mondo di antiche tradizioni che viene corrotto dalla modernità. Il popolo delle steppe corrotto dalla potenza inurbatrice (e il Partito Comunista, si sa, ne ha fatti di errori); la saggezza del capo villaggio mongolo contro il rappresentante del partito. Non è un lupo che deve essere educato, quanto lo spirito della Mongolia che viene addormentato. "Hai catturato un lupo e ne hai fatto un tuo schiavo", dice il capo villaggio a Chen Zhen: non si può addomesticare un lupo mongolo, non diverrà mai docile come un cane.

Il destino dell'ultimo è solitario, ma, ben più importante, fiero della sua indipendenza. "L'ultimo lupo" è come "L'ultimo dei Moicani": una razza che si estingue. Jean-Jacques Annaud perde qualcosa in questo film, non bello e penetrante come i suoi classici. Suggerisco la visione di un suo film del 2004: "Due fratelli", la storia, anch'essa vera, di due fratelli tigrotti indiani, bellissima e nient'affatto banale. VOTO: 5/10. "L'ultimo lupo" è proiettato al Multisala Iris alle ore: 18:30, 20:45, 23:00.

Lavinia Consolato