Vincono Accorinti e la voglia di scardinare il sistema. Calabrò paga per colpe non sue

Il trionfo di Renato Accorinti non è solo nei numeri, più che raddoppiati rispetto al primo turno ( è passato da 19.939 a 47.866 voti ): è nell’entusiasmo che è via via cresciuto intorno al suo movimento “Cambiamo Messina dal Basso”; è nella «benevolenza» rivolta alla sua persona dopo oltre 30 anni di battaglie in strada, vissuti da emarginato; è nell’utopia che si trasforma in realtà; è nella rivoluzione che diventa potere costituito; è nel finale che non ti aspetti di Davide che sconfigge Golia, «a mani nude, con la sola forza delle idee».

Dietro la vittoria di Accorinti, c’è solo Accorinti e la sua storia di uomo onesto e coerente, che non è mai sceso a compromessi, che non ha mai messo in vendita la sua dignità. La sua figura pulita ed al di sopra di ogni sospetto è riuscita persino a ridare verginità politica a quanti gli sono stati vicino in questo lungo ed esaltante percorso elettorale e che così puri e casti non erano, anche loro con l’ “onta genovesiana” addosso. Ma come il Padre eterno togli i peccati del mondo, Accorinti ha tolto i peccati di qualche esponente politico, non solo riabilitandolo agli occhi dei più ma persino facendone dimenticare i trascorsi.

Situazione completamente opposta nel centro-sinistra, dove l’avversario di Accorinti, Felice Calabrò, ha pagato per colpe non sue. In altri tempi, non certo quelli odierni dell’anti-politica, un candidato quarantenne e fuori dai vertici di partito sarebbe già stata una rivoluzione per Messina. Ma l’elemento generazionale è stato annientato e superato dalla rabbia e dal rancore di tanti messinesi nei confronti dei partiti che hanno sostenuto la candidatura di Calabrò e dei loro leaders, due su tutti Francantonio Genovese e Gampiero D’alia , ripetutamente presi di mira soprattutto sui social network. Il primo più che il secondo. L’ex sindaco e l’attuale ministro per la PA sono considerati da molti responsabili del disastro in cui si ritrova Messina ed i detrattori di Calabrò hanno visto in lui la continuità, mentre Accorinti rappresentava la rottura con un sistema di potere che ha impoverito la città e con una politica fatta per interesse e non per servizio alla collettività.

In fondo, Calabrò ha perso per colpe che non ha e danni che non ha provocato. Con lui ha perso una un’intera generazione di politici trentenni e quarantenni onesti e capaci, che hanno creduto nella politica sana fatta dentro i partiti, dai quali sono però rimasti schiacciati. Quegli stessi partiti che quasi mai puntano sul merito e sulle competenze ma sui “portatori di voti”, che fanno crescere le percentuali ma abbassano il livello e che soprattutto, raggiunto il risultato personale, voltano le spalle. La sconfitta elettorale di Calabrò è dipesa anche dallo scarso impegno o comunque dallo scarso risultato portato a casa da chi solo due settimane fa ha fatto man bassa di voti in Consiglio Comunale.

La vittoria per “acclamazione” di Accorinti apre scenari nuovi e sconosciuti. Mai prima di adesso un anarchico aveva conquistato il Palazzo. Messina e i messinesi si apprestano a vivere l’era accorintiana. (Danila La Torre)