Come in era Buzzanca: gli scarsi trasferimenti a Messinambiente che diventano debito “strutturale”

Un nuovo commissario liquidatore, che nei comunicati si autodefinisce amministratore; una sfilza di nuovi consulenti esterni arrivati da oltre lo Stretto; un’opera di maquillage all’immagine per sottolineare la distanza con quelli che c’erano prima, da cui hanno ereditato enormi problemi; e qualche frutto raccolto anche grazie alla semina dei vecchi amministratori (vedi porta a porta). Tanto basta alla giunta Accorinti per ripetere continuamente alla città di aver cambiato volto a Messinambiente e di aver avviato un percorso virtuoso.

Ciò che l’amministrazione Accorinti però non dice è che nulla è cambiato nei rapporti economici tra il Comune e la sua partecipata. Le discrasie contabili che hanno caratterizzato i bilanci dell’era Buzzanca – che come noto sono oggetto di inchiesta da parte della magistratura, anche in relazione ai rapporti tra l’ente e le sue partecipate – non sono mai state sanate dall’amministrazione Accorinti. Esisteva in passato ed esiste ancora oggi un gap evidente tra quanto Messinambiente costa realmente ogni mese e quanto il Comune trasferisce alla sua società. Da via Dogali vorrebbero almeno 2,8 milioni di euro al mese, mentre Palazzo Zanca trasferisce 2,3 milioni di euro.

A segnalare l’anomalia, dannosa sia per il funzionamento di Messinambiente che per le casse comunali, non è qualche consigliere di opposizione, ma lo stesso commissario liquidatore di Messinambiente, Alessio Ciacci.

«Uno dei problemi principali è la discrasia esistente tra i costi e i ricavi, cioè quanto messo a disposizione da parte del Comune di Messina. Questa discrasia genera uno “sbilancio” economico che varia dai 300mila euro ai 400mila euro mensili di deficit ed impatta direttamente sui costi di gestione della società. Lo squilibrio è tale che non è direttamente riassorbibile tramite normali operazioni di risparmio dei costi aziendali che sono costituiti per circa il 66% da spese di personale, che incide per circa il 70 % sui ricavi e quindi l’unica possibilità di portare equilibrio economico è aumentare i ricavi, cioè le risorse che giungono a Messinambiente oppure ridurre i costi, con le ripercussioni sociali che comporta la riduzione dei costi del personale». Così scrive testualmente Ciacci nella relazione semestrale (marzo-novembre 2014) consegnata all’amministrazione. Si tratta di un documento ufficiale in cui il commissario voluto da questa amministrazione spiega a chiare lettere che i trasferimenti del Comune non sono sufficienti a coprire le spese di gestione della società, con perdite mensili di 300/400mila euro al mese, destinate a tramutarsi alla fine dell’anno in un debito fuori bilancio per il Comune di oltre 4 milioni di euro. Un debito fuori bilancio certamente non imprevedibile ma “strutturale”: in era Accorinti esattamente come in era Buzzanca.

Ed è sempre il commissario liquidatore di Messinambiente a sottolineare, nella sua relazione, che la situazione è cristallizzata e non c’è stata alcuna svolta rispetto a quel passato tante volte criticato dagli attuali amministratori di palazzo Zanca, che hanno spesso rinnegato a parole il modo di gestire la cosa pubblica da parte dei loro predecessori ma, evidentemente, non con le azioni amministrative.

«I corrispettivi riconosciuti dal Comune di Messina – scrive Ciacci – non essendo frutto di un corretto dimensionamento … sono eccessivamente distanti dal poter coprire i costi dei servizi richiesti che, fra l’altro sono aumentati negli anni sia per modifiche territoriali (espansione di centri residenziali soprattutto nella zona nord e centro) sia per i maggiori servizi richiesti (verde, caditoie, ecc…). Tutto ciò ha causato negli anni e continua tuttora a causare un danno economico continuo e crescente alla società, che quindi ha eroso il capitale sociale e per obbligo di legge è stata posta in liquidazione».

L’unica differenza rispetto al passato è che – formalmente dal 1 ottobre 2013, nei fatti solo da qualche mese – non c’è più l’intermediazione dell’Ato3. Il 1 ottobre 2013, la Regione ha, infatti, cancellato gli Ato per spianare la strada alle Srr e, dunque, adesso la piena titolarità della gestione dei rifiuti e del rapporto diretto con il gestore del servizio è tornato nelle mani del Comune. Ma come scrive ancora Ciacci, «Palazzo Zanca ha continuato ad avvalersi dell'Ato3, dei suoi costi e delle sue logiche per determinare le perizie di finanziamento del servizio in modo unilaterale, senza cioè accordarsi con Messinambiente. Così facendo ha di nuovo determinato un danno alla società».

In realtà, il danno economico denunciato dal commissario liquidatore non è solo per Messinambiente, ma anche per il Comune, in quanto unico titolare delle quote della società che si occupa di raccolta rifiuti in città.

Secondo Ciacci, risulta «assolutamente necessario ridisegnare i servizi richiesti…Fino a quel momento la società continuerà irrimediabilmente a portare in negativo il bilancio, continuando a produrre perdita tale da erodere completamente il capitale sociale più le riserve e presentare un deficit di 30 milioni, invece di generare utili o almeno chiudere l’esercizio a zero (costi = ricavi)».

Dal prossimo 30 giugno – secondo le intenzioni della giunta, messe nere su bianco in una recente delibera – la società di via Dogali scomparirà, facendo “emigrare” personale e servizi all’Amam, in attesa della costituzione della Multiservizi. Resterà sul groppone del Comune il fardello dei debiti: molti dei quali prodotti in passato (32 milioni di euro quelli iscritti nel piano di riequilibrio), altri in corso di formazione. Proprio sotto il naso degli attuali amministratori.

Danila La Torre