Cronaca

Coronavirus, giustizia ko anche a Messina. Parla il presidente degli avvocati

“Dobbiamo rientrare nel palazzo, non riusciamo a tutelare i diritti dei cittadini e la giustizia attraverso il processo da remoto. “

E’ chiaro e diretto il presidente dell’Ordine degli Avvocati di Messina, Domenico Santoro, che denuncia la ripresa che non c’è stata, nel settore giustizia, con l’avvio della fase 2. Un problema sollevato dagli avvocati di tutta Italia, in alcune sedi con proteste eclatanti, come a Roma dove i legali hanno restituito la toga nelle mani del loro presidente.

Anche a Messina la giustizia 2.0 in fase2 fatica a ripartire. Presidente, qual è la situazione ad oggi in riva allo Stretto?

E’ drammatica. Il grosso delle cause viene rinviato al 2021 inoltrato, soprattutto le cause considerate non urgenti. Nel penale, a parte i processi non differibili come quelli con imputati in custodia, si sta facendo un enorme sforzo per definire i procedimenti a ridosso della prescrizione. Vanno meglio le cose nel fallimentare, dove il presidente Minutoli,grazie anche ad una logistica più adeguata delle cancellerie, ha organizzato il lavoro in maniera da proseguire, anche col contatto diretto dove è necessario, con tutti gli accorgimenti del caso. Ma per il resto di fatto la fase 2 non è partita.

Quali sono i problemi principali che riscontrate?

Fondamentalmente il Governo si è affidato al processo virtuale, e non ci sono avvisaglie di una ripresa a breve. Ma la strumentazione che ha offerto non è adeguata. Come a noi, anche ai cancellieri e ai magistrati si chiede di incentivare lo smart working. Ma la strumentazione per connettersi da remoto alla piattaforma del processo telematico, ad esempio, non è sempre adeguata e non tutti i magistrati sono riusciti a consultare gli atti adeguatamente da casa.  Quindi di fatto molti giudici e cancellieri, malgrado gli sforzi, fuori dall’ufficio non riescono a lavorare. Anche per questo probabilmente molti magistrati non sono riusciti a smaltire l’arretrato così come avrebbero potuto, durante il lockdown. Ci saremmo aspettati un numero maggiore di sentenze e atti depositati, invece così non è stato. E l’arretrato continua ad accumularsi.

Nel settore penale, poi, per le udienze che devono essere necessariamente trattate, il principio del fissare l’orario della chiamata funziona poco. E’ difficile pre definire i tempi delle attività davanti al giudice, e prefissare udienze distanziate non basta. Questo vuol dire che nelle cause penali ma non solo, ad esempio, vista anche l’inadeguatezza dei locali, si finisce per creare comunque affollamento.

Un altro grosso problema che abbiamo è quello degli ufficiali giudiziari. Anche per loro la ripresa è lenta, perché il rischio maggiore è il loro, sono loro che devono effettuare le notifiche personalmente. Non vogliamo che rischino né che siano esposti, ma non si può rinviare l’intera attività. Sarebbe bene consentire almeno le notifiche urgenti, dando modo ai legali di poter indicare quali sono le priorità, ce ne assumiamo l’onere. E’ un aspetto che ha risvolti pratici molto cogenti, se si pensa ai tanti creditori per i quali la definizione di una procedimento di notifica vuol dire poter continuare la propria attività. Si capisce bene quanto è fondamentale, in questo momento di grossa crisi economica.

Insomma, c’è una difficoltà del sistema, organizzativo e logistico, ad adeguarsi allo smart working.

Non soltanto. C’è il rischio di una compressione dei diritti dei cittadini e delle tutele degli utenti della giustizia di non poco conto. Non soltanto perché è difficile assicurare la tutela dei diritti e dei bisogni, la legittima richiesta di definizione di un procedimenti in tempi ragionevoli (cosa difficile già prima). Ma così non riusciamo a tutelare neppure la funzione sociale della giustizia. Non è praticamente più possibile assistere ad un processo. Così il cittadino si allontana  ancora di più dalla giustizia.

 Ancora, pensiamo ai detenuti, come può il penalista entrare davvero in rapporto con un cliente detenuto attraverso una rara videochiamata, registrata da chi? Come fa un giudice ad accorgersi di quali sono le situazioni reali che ci sono dietro gli atti di una causa, senza l’oralità degli avvocati o anche del pubblico ministero?

Penso al diritto di famiglia, ad esempio, dove si affrontano situazioni molto delicate. Come è possibile affidare a 2 pagine di 20 righe ciascuno, come ci viene richiesto adesso, la rappresentazione di una situazione e le richieste al giudice? Senza contare che se andiamo oltre le 2 pagine l’atto è inammissibile. Ecco, su questo dovremmo cominciare una battaglia seria, ad esempio, come quella che stiamo già portando avanti quotidianamente per arrivare ad una ripartenza effettiva.

Stiamo dialogando col presidente della Corte d’Appello Galluccio e col presidente del Tribunale facente funzioni Minutoli per segnalare tutte le criticità, ci siamo messi a disposizione e cercheremo di supportare l’attività dei tanti cancellieri che hanno continuato e stanno continuando a lavorare “in trincea” e stanno organizzandosi per un front office il più efficiente possibile, nel rispetto della tutela della salute. Non dobbiamo esporci e esporre nessuno a rischi, ma il coronavirus non può uccidere la giustizia. Proprio ieri abbiamo inoltrato ai presidenti, anche del Tribunale dei Minori, all’Unep e ai responsabili degli uffici un documento di 4 pagine con la segnalazione di tutte le principali problematiche.

C’è altro che voi avvocati state facendo e potete fare?

Ci stiamo organizzando per potenziare ancora di più tutti quegli strumenti che consentano di soddisfare le domande di giustizia del cittadino senza affollare i tribunali, dall’implementazione della mediazione alla negoziazione assistita. Abbiamo messo a disposizione i nostri uffici per permettere ai colleghi di espletare tutte queste attività in sicurezza e in locali adeguati, come quelli del Dipartimento Cultura e Servizi.

E ci stiamo anche muovendo per aiutare i tanti professionisti messi in difficoltà dalla crisi e dalla ripartenza che non c’è, a cominciare dai giovani avvocati. Sento tanti di loro dire che se la situazione prosegue così com’è attualmente, l’anno prossimo probabilmente non eserciteranno più. Per loro dobbiamo fare tutto quello che possiamo. Ragionevolmente non possiamo offrire assistenza economica duratura nel tempo, con 2600 avvocati e 600 praticanti è impossibile, ma possiamo implementare la possibilità di mettersi insieme in studi associati, per abbattere le spese, e offrire dove possibile attraverso l’Ordine diversi strumenti, da quelli informatici  a quelli informativi.