Cronaca

Chiusa l’inchiesta Matassa, indagati anche Genovese e Rinaldi

Ci sono anche Francantonio Genovese e Franco Rinaldi tra i 54 indagati dell’inchiesta Matassa, la maxi operazione su voto di scambio e interessi politici dei clan alle ultime elezioni, regionali e amministrative, e i rapporti tra vecchi e nuovi esponenti criminali cittadini e gli uffici pubblici, passando per i legami con alcuni appartenenti alle forze dell’ordine.

La PM della Dda Liliana Todaro ha siglato l’atto finale dell’inchiesta, in corso di notifica in queste ore. Tra gli avvisati, non figura il nome dell’altro deputato regionale inizialmente iscritto nel registro degli indagati, il brolese Nino Germanà. La sua posizione è stata stralciata da tempo.

Per il deputato oggi Forzista, Genvese e il cognato Rinaldi la Procura antimafia di Messina contesta il reato di associazione a delinquere al fine di “commettere una serie indeterminata di delitti di corruzione elettorale”. Il reato è ipotizzato ai due esponenti politici, al gregario Paolo David, ex consigliere comunale arrestato in occasione del blitz, Angelo e Giuseppe Pernicone, titolari delle ditte che avrebbero cercato appoggio per ottenere lavori in diversi settori pubblici, Baldassare Giunti, il factotum considerato “cerniera” tra una serie di ambienti, il grosso commerciante Paolo Siracusano, in passato candidato per l’area Genovese alla Provincia, Giuseppe e Cristina Picarella, patron di cliniche private.

Per la Procura di Messina il reato di associazione a delinquere è “ancora in corso”. Per Rinaldi, David e i Pernicone, la Procura ipotizza poi un ulteriore episodio di corruzione elettorale, cioè la distribuzione di generi alimentari, nell’ottobre 2012, durante la corsa per le regionali.

Ancora, Genovese e Rinaldi sono indagati anche per le “segnalazioni” a favore della Angel e del Consorzio Sociale Siciliano dei Pernicone, tra il 2012 e il 2013, in particolare per l’inclusione negli albi delle imprese a disposizione del Consorzio Autostrade Siciliane.

Chiusura indagine anche per l’altro consigliere comunale coinvolto, Giuseppe Capurro; era andato ai domiciliari per concorso esterno al clan Ventura di Camaro.

Trentotto complessivamente le ipotesi di reato cristallizzate nell’atto conclusivo dell’indagine, a carico dei 54 indagati. Eccoli tutti: Giuseppe Barilà, Carmelo Bombaci, Salvatore Borgia, Giuseppe Cambria Scimone, Giuseppe Capurro, Carmelo Catalano, Vittorio Catrimi; Giovanni, Francesco e Vincenza Celona, Fortunato Cirillo, Francesco Comandè, Pietro Costa, Paolo David, Andrea De Francesco; il boss storico Santi Ferrante; Francesco Foti, Gateano Freni, Francantonio Genovese; il poliziotto in pensione Stefano Genovese; Mario Giacobbe, Baldassarre Giunti, Lorenzo Guarnera, Paolo Guerrera, il poliziotto Michelangelo La Malfa, Antonino Lombardo, Fortunato Magazzù, Salvatore Mangano, Orazio Manuguerra, Raimondo Messina, Massimiliano e Rocco Milo, Gaetano Nostro,il maresciallo dei Carabinieri Lorenzo Papale, già a capo della stazione di Giostra; Angelo e Giuseppe Pernicone, Giuseppe Perrello; Adelfio Perticari, in carcere per l’omicidio del giovane Giuseppe De Francesco, ad aprile scorso a Camaro; i manager della sanità Cristina e Giuseppe Picarella; Salvatore Pulio, Rocco Richici, Francesco Rinaldi, Giovanni Santamaria, Pietro Santapaola, Luca Siracusano, Paolo Silvestro Siracusano, Francesco e Rosario Tamburella, Fabio Tortorella, Domenico Trentin, accusato del tentato omicidio di Salvatore De Luca, avvenuto nel 2012 a Camaro; il boss “Mileddu” Carmelo Ventura e il figlio Giovanni; Francesco Zuccarello.

Il PM Liliana Todaro ha lavorato al caso insieme ai colleghi Maria Pellegrino e Fabrizio Monaco. L’inchiesta è articolata e inizialmente nacque da una informativa depositata nel 2011 dalla Squadra Mobile sui movimenti dei clan cittadini. Continuando a monitorare soggetti già noti e nuovi volti della mafia locale, i poliziotti si sono “imbattuti” negli scambi elettorali del periodo caldo 2012-2013. Sul tavolo dei magistrati c’è però un’altra tranche d’inchiesta, ancora in corso, affidata ai carabinieri del Nucleo Investigativo.

Alessandra Serio