Formazione, i buchi neri dei controlli alla Regione

L’inchiesta sul Ciapi di Palermo e quelle sui Grandi Eventi, su Aram, Ancol e Lumen nonché tutte le altre sugli Enti di formazione hanno un filo conduttore comune: ma chi doveva controllare, alla Regione, che ha fatto?

In tutta la Sicilia sono svaniti milioni di euro provenienti dalle casse dell’Unione europea destinati alla formazione e chi doveva controllare non l’ha fatto. Il sistema si è alimentato per anni grazie al fatto che gli uffici di “mamma Regione” non hanno mai guardato una carta, un fascicolo, una fattura. A prescindere dal fatto che persino uno “sbadato” o un incompetente si sarebbe reso conto di alcune macroscopiche stranezze, in realtà è proprio il sistema dei controlli che sembra fatto apposta per fallire. Le verifiche avvenivano quasi sempre “sulla fiducia”. I controlli venivano posticipati di mese in mese, tanto che quasi sempre avvenivano (quando avvenivano) a fine corso. Le documentazioni evidentemente non le ha mai lette nessuno, nessuno ha mai verificato se esistessero i corsisti e i docenti e se le due parti, corsisti e docenti, s’incontrassero realmente. Le verifiche sulla frequenza, ad esempio, erano a dir poco “bizzarre”, se pensiamo che a novembre il dipartimento della Formazione annunciò l’ennesima proroga al controllo fino al 31 dicembre 2012 (era la terza da maggio), quindi i registri con le presenze sarebbero arrivati mesi e mesi dopo la fine dei corsi. Dapprima i corsi venivano pagati in base alle spese dichiarate, poi si passò al numero degli allievi, che dovevano essere 15 per ottenere i fondi. Ma anche in questo modo il sistema venne aggirato, attraverso firme false o comunque grazie alla “tolleranza” della Regione che, se un corso avviato con 15 persone poi, dopo un paio di giorni, si dimezzava, chiudeva un occhio. Basta leggere gli atti dell’ inchiesta e le testimonianze dei corsisti per capire come a volte venissero falsificate le firme degli allievi, sia per l’iscrizione che per le quietanze di pagamento, così molti hanno frequentato a loro insaputa o, peggio, incassato a loro insaputa. Nelle intercettazioni di Daniela D’Urso con un’impiegata appare chiaramente il metodo: “ci metti tu la firma”, diceva la moglie dell’ex sindaco Buzzanca. Poi ci sono le dichiarazioni del dirigente alla formazione Ludovico Albert ai magistrati che racconta: “I fondi? Andavano ad enti accreditati di solito in base a mera autocertificazione ed in assenza di controlli. Gli enti accreditati erano circa 1.600, quasi cinque volte più di quelli del Veneto. Le verifiche poi, tutte postume,avvengono a distanza di anni”. E’ sempre Albert a raccontare della visita ricevuta da Daniela D’Urso che “l’avrebbe aggredito e minacciato, pretendendo di ottenere, per l’Ancol, un’ integrazione. Fatti poi riferiti al Presidente della Regione”.

Sono gli stessi magistrati che nell’ordinanza dell’operazione Corsi d’oro si soffermano proprio su questo aspetto: “ C’era una palese e spesso colpevole inadeguatezza del sistema dei controlli. Gli accertamenti hanno evidenziato molteplici irregolarità ed anomalie, molte delle quali intuibili già dall'esame della documentazione contabile. Un meccanismo di controllo tutt'altro che esemplare di autorizzazione ai finanziamenti che, più che sorprendere, talora sconcerta”. Insomma i magistrati fanno intendere come non occorra essere il commissario Colombo per capire che qualcosa non andava. Bastava guardare i documenti contabili. E farlo nell’immediatezza, non a distanza di mesi.

Prendiamo alcuni aspetti emersi dall’operazione Corsi d’oro. Se sei un dirigente regionale deputato alle autorizzazioni delle spese tra le carte spunta una fattura di 23 mila euro di una gioielleria, un piccolissimo sospetto dovrà pur venirti. Se un Ente utilizza un’auto di lusso, che, di anno in anno, invece di costare meno addirittura invecchia e vale di più, come il vino, una lampadina dovrà pure accendersi nel cervello. L’Audi A8, acquistata 60 mila euro per “esigenze del corso”, è stata noleggiata all’Aram con costi mensili che non hanno alcuna logica di mercato e che aumentava di anno in anno, nonostante l’invecchiamento, al punto che in tre anni è costata oltre 93 mila euro, con una plusvalenza di 36 mila euro. Se ti arrivano due fatture per la pulizia di tre sedi, di 84 mila euro e di 28 mila per un totale di 112 mila euro lo capisci ad occhio che non è stato Mastro Lindo in persona con i suoi fratelli a pulire Montecitorio. Il noleggio delle attrezzature, gli affitti degli immobili, ogni cosa avveniva moltiplicando le cifre con il gioco delle scatole cinesi. Strano Paese il nostro. A Roma politici come Scajola o Tremonti riescono a comprare attici con vista sul Colosseo a loro insaputa o con prezzi da casa popolare e a Messina, Palermo,Catania, Agrigento, le Aule per i corsi di formazione sono a cifre esorbitanti. Bastava leggere, fare controlli. Anche se spesso erano gli stessi dirigenti ad avvisare, come nel caso di Carlo Isaja, l’arrivo delle verifiche.

Esemplare l’intercettazione di un altro dipendente dell’Ispettorato del lavoro, Venerando Lo Conti che quasi cerca di giustificarsi per i controlli effettuati su disposizione della Regione dopo le bufere: “Elio, noi…siamo partiti perché…perché non vorrei…per ora Crocetta impera…A Messina ci sono 32 enti e noi dobbiamo farli tutti…Nelli Scilabra ha disposto così…e poi Nelli Scilabra cu sapi cu è….”.

Con amara ironia, si potrebbe dire che basterebbe un Corso di formazione per…formare i dirigenti della Regione deputati ai controlli e alle autorizzazioni.

Rosaria Brancato