Formazione, no alla scarcerazione: Francantonio Genovese resta detenuto

Francantonio Genovese resta in carcere. Lo hanno deciso i Giudici della Prima Sezione penale del Tribunale di Messina nella tarda mattinata di oggi, ritenendo "irrilevanti, sotto il profilo della novità, ai fini della modifica del quadro cautelare, le autorizzazioni del gip a specifici spostamenti senza scorta o contatti con terzi, così come la revoca del divieto di comunicazione imposto all'atto della applicazione degli arresti domiciliari con persone diverse da quelle coabitanti con il prevenuto intervenuti nel corso della esecuzione della misura degli arresti domiciliari". Secondo i Giudici, poi, nessun rilievo assume il decorso del tempo trascorso in regime cautelare.

"Mi limito ad osservare che si tratta di un provvedimento che non appare condivisibile, a tacer d'altro, nella parte in cui non tiene conto proprio delle modifiche disposte dal Gup, quale conseguenza della ritenuta attenuazione del quadro cautelare. Per il resto, è evidente che il Tribunale ha rinunciato a compiere la valutazione richiestagli in termini di "grado ed attualità" delle esigenze e di "idoneità della misura" a farvi fronte, trincerandosi, di fatto, dietro il dato, strettamente formale e, peraltro, neanche correttamente richiamato, del "giudicato cautelare", commenta l'avvocato Nino Favazzo, legale del deputato arrestato nell'ambito dell'inchiesta Corsi d'oro sulla formazione professionale messinse.

Continuerà ancora per un poco, quindi, la vita da detenuto per il parlamentare del Partito democratico, tornato a Gazzi giovedì scorso, dopo che la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso contro la decisione del Tribunale del Riesame. Il collegio dlela libertà messinese aveva stabilito, la scorsa estate, che l'onorevole avrebbe dovuto rimanere dietro le sbarre, mentre il Giudice per le indagini preliminari che lo aveva arrestato a maggio, a cinque giorni dall'arrivo a Gazzi, dopo averlo interrogato, gli ha concesso i domiciliari. Domiciliari ai quali è rimasto fino al 15 maggio scorso.

Eppure proprio qualche giorno prima della decisione della Suprema Corte un altro Gup gli aveva concesso la possibilità di comunicare liberamente e incontrare chiunque, seppure sempre e soltanto da casa. Insomma, in attesa dell'inizio del processo, fissato a fine febbraio, continua il braccio di ferro tra la Procura di Messina, guidata dall'aggiunto Sebastiano Ardita, e i legali dell'esponente politico. Braccio di ferro che in questi mesi hanno segnato diversi ribaltamenti di fronte, anche se il quadro delle accuse è rimastro pressoché immutato.

Alessandra Serio