Processo Formazione, ancora un no alla scarcerazione dell’onorevole Genovese

Ancora un no alla richiesta di scarcerazione del'onorevole Francantonio Genovese, in carcere dallo scorso 15 maggio e alla sbarra al processo sulla gestione dei fondi destinati alla formazione professionale. A rigettare l'ennesima istanza di scarcerazione è stato un "quasi omonimo", Antonio Francesco Genovese, presidente del Tribunale del Riesame, al quale l'avvocato Nino Favazzo ha chiesto di rivedere l'ordinanza con la quale il Tribunale Collegiale ha rigettato la richiesta di scarcerazione del deputato. Il difensore era tornato a chiedere di aprire le porte del carcere di Gazzi dopo la nuova normativa sulla custodia cautelare, entrata in vigore a inizio del maggio scorso, che impone criteri ancor più cogenti al giudice che vuole disporre la carcerazione preventiva.

Ma Il Riesame ha confermato la decisione del Collegio, richiamando inoltre i precedenti rigetti, uno dei quali siglato dallo stesso Giudice Genovese nell'aprile precedente. Per il Riesame, insomma, c'è ancor "periculus criminis", soprattutto in relazione alle accuse di riciclaggio ed evasione fiscale. Né basterebbero le "doglianze ulteriori" del difensore per superare le ragioni che hanno motivato i precedenti rigetti: né l'ulteriore passaggio del tempo, né il fatto che nel frattempo siano cadute tutte le misure cautelari per la moglie hiara Schirò, spiega il Collegio della Libertà.

Istanza rigettata, quindi, e condanna a pagare le spese di giudizio, a carico dell'onorevole detenuto.

Amareggiato il legale, che accoglie con una dura critica, in parte anche personale, il dispositivo del Riesame: "Se alla applicazione del diritto si sostituisce la logica del mantenimento dello stato attuale delle cose; se risulta più facile condividere precedenti decisioni senza motivare, con lo scrupolo necessario, circa le ragioni del rigetto; se si giunge a travisare il senso di un parere reso dalla pubblica accusa, quando si perde di vista la centralità della Persona che la misura subisce, guardando, piuttosto, alle possibili conseguenze che una decisione ad essa favorevole potrebbe comportare; se si preferisce non adottare una decisione "fuori dal coro", allineandosi alle precedenti, altrettanto errate; se si stravolge la finalità della misura cautelare trasformandola in una vera e propria anticipazione di pena. Se e quando tutto questo accade c'è da chiedersi se il fallimento è del difensore che, con ostinazione ma nel rispetto delle regole, continua a rivolgere motivate istanze, ovvero del sistema giudiziario che non è in grado di uscire da quella situazione di stallo cui, esso stesso, ha dato origine", dice Favazzo.

"Ricordo che, qualche mese addietro, un Giudice che – appresi dopo – si accingeva ad adottare uno dei provvedimenti di rigetto nei confronti di Francantonio Genovese, mi consigliava di essere meno passionale e coinvolto, in una parola, più distaccato. Feci presente che non avevo ancora perso in lucidità e tentai di spiegare al mio interlocutore – non credo di esserci riuscito – che il coinvolgimento e la passione dedicata al caso, contrariamente a quanto si poteva pensare, non erano motivati da più che legittime aspirazioni professionali, ma discendevano direttamente dal mio profondo senso di giustizia, che non ha mai tollerato e non tollera decisioni ingiuste, soprattutto quando si traducono in provvedimenti cautelari inutilmente afflittivi".

"Se è all'esito del processo che occorre stabilire se una pena deve essere applicata, prima della sentenza definitiva, la carcerazione preventiva deve essere maneggiata con estrema cautela, limitandosi con essa un diritto costituzionalmente garantito – continua il difensore – Coerentemente, quindi, non ho raccolto quel garbato invito e mi ostino ancora oggi a sostenere le ragioni di Francantonio Genovese, al momento, ma non solo, in sede cautelare. Mentirei a me stesso se dicessi che resto insensibile di fronte al reiterarsi di quella che ritengo essere una ingiustificata e non più accettabile aggressione al diritto alla libertà di un uomo, inutilmente e senza ragione, ristretto in carcere. Ma per mia fortuna, ancora, continuo a non rassegnarmi e trovo stimolo e conforto al mio operare ricordando un noto e sempre attuale adagio: quando l'ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere".