Rigore e sacrifici, ma per quale idea di società?

“Ce lo chiede l’Europa!”. Quante volte abbiamo sentito e certamente continueremo a sentire queste parole, come se fossero risolutive di qualunque discussione: questa cosa va fatta!
E’ indiscutibile che portare i conti in ordine sia indispensabile per un sistema-Paese, come per un sistema-azienda, come per una famiglia e per i singoli individui. Avere i conti in ordine, cioè non essere in condizioni che conducano al dissesto, in ogni caso è ineludibile ma non sufficiente, ossia dev’essere una condizione, un presupposto per qualche altra cosa. Allora, la domanda è: quale Europa lo chiede e per fare cosa? Quindi, a seconda delle reali finalità, come deve avvenire il riordino?
Lo chiede un’Europa (quali Stati, leader, partiti, lobby) per perpetuare e accrescere diseguaglianze se non addirittura iniquità, ricchezze di pochi contro povertà e incertezze di tanti, oppure lo chiede un’Europa che vuole il risanamento per raggiungere maggiori livelli di solidarietà ed equità?

Dalle risposte a queste interrogativi deriva coerentemente come fare il risanamento. Coloro che hanno un po’ di confidenza con i riequilibri di conti aziendali sanno come si può procedere, a seconda delle finalità, con ristrutturazioni da costi o da ricavi o ancora miste, con logiche cioè quasi liquidatorie o al contrario espansive della crescita e dello sviluppo.
In altri termini, quale Europa ci chiede cosa per ottenere cos’altro? Questo è il vero e cruciale punto.

Fuor dagli equivoci, il percorso di rigore avviato dal governo Monti non aveva né ha alternative per evitare di cadere nel baratro in cui ci stava conducendo il suo predecessore con i suoi orchestrali e ballerini da Titanic. Ma questo rigore è stato ed è abbinato a giuste dosi di equità? I sacrifici che ne derivano sono veramente ripartiti con eque dosi? Ancora: il progressivo risanamento dei conti è propedeutico a cosa? All’Italia che più solidamente si vuol basare sulle diseguaglianze o all’Italia che si avvii a tessere una società meno egoistica e più solidale; più solidale, tanto per fare uno dei tanti e gravi esempi, con i lavoratori di Termini Imerese e più dura, invece, nei confronti di corruttori e concussori?

Le risposte vanno ben al di là dei “conti in ordine che ci chiede l’Europa” e devono venire dalla politica che si renda realmente sensibile ai cittadini che si fanno sentire. Ma la politica è ancora capace di ascoltare? I cittadini di farsi sentire? Qui sta il nodo decisivo.

Il parlamento ha legiferato il 27 giugno, con la cosiddetta riforma del lavoro, l’attenuazione delle tutele già previste dal 1970 contro i licenziamenti giudicati illegittimi (non ritenuti né considerati, si badi, ma giudicati illegittimi con sentenze della magistratura!). A cosa serve questa innovazione? Quale Europa ce lo chiede e per far cosa? Cosa c’entra con il risanamento dell’economia e delle finanze del Paese?

Si può dire, allora, con un altro tormentone apodittico, che “ce lo chiedono i mercati”. Chi sono in concreto? Ce lo chiedono, forse, quei pochi che dal 2006, con crescente e incontrastata mancanza di scrupoli, stanno giocando con la vita di miliardi di persone manipolando flussi finanziari e schierando nei loro eserciti agenzie di rating di cui frequentemente controllano l’azionariato? Ce lo chiede la grande speculazione? Per raggiungere quali risultati?

E’ arrivato il momento che le forze politiche europee e italiane affrontino apertamente questi temi, per misurare i propri consensi con chiarezza. Altrimenti si correrà il rischio di avere sì i conti ordinati, ma come le aiuole di un bel cimitero, che può esser tutto fuorché il luogo dove prospera la vita. Non vogliamo trovarci nei panni di Calgaco, lo sconfitto capo dei Caledoni che, parlando dei vittoriosi romani, disse: “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant” (Dove fanno il deserto, dicono che è la pace – P. C. Tacito, La vita di Agricola).

P.s. A proposito di lavoro: è un diritto, ministro Fornero, non c’è refuso che tenga. E’ il diritto su cui si basa la Repubblica italiana, come sancito nelle sue fondamenta costituzionali. Art. 1: “L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Art. 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Lei ha giurato fedeltà a queste norme, non lo dimentichi mai o si dimetta, ma – anche da semplice cittadina – non attenti alla Costituzione!

P.p.s. A proposito di diritti e di richieste dell’Europa: il 24 maggio scorso il parlamento europeo, a larga maggioranza e compreso il Ppe, ha chiesto agli Stati (tra cui l’Italia) che non l’abbiano già fatto, di “condannare con forza tutte le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere” e di fare in modo che i diritti degli omosessuali “siano sempre rispettati garantendo appieno la loro protezione”. La risoluzione aggiunge che tali diritti sarebbero più tutelati “se queste persone avessero accesso a unione registrata o matrimonio”. Ecco uno riforma a costo zero, che metterebbe più in ordine i conti di civiltà, solidarietà e rispetto. Anche questo ci chiede l’Europa, con una visione che al rigore sostituisce la fraternità.

Aldo Liparoti