Intanto parla il direttore Conte: «I truffatori vanno puniti, ma non siamo gli ultimi della classe»

L’Atm è costantemente nell’occhio del ciclone: dalla crisi finanziaria agli scioperi, dai mancati pagamenti degli stipendi ad un servizio troppo spesso poco efficiente. L’ultima bomba scoppiata è quella dell’assenteismo, con cinquanta dipendenti sotto torchio e alle prese con gli interrogatori della magistratura. A parlare oggi è Claudio Conte, direttore generale dell’Atm, che chiarisce subito: «Non ho nessuna intenzione di difendere i 50 dipendenti coinvolti e che adesso stanno dando le loro spiegazioni alla magistratura. Se ci sono dei truffatori, allora è giusto che vengano rinviati a giudizio».

Nessuna difesa d’ufficio, dunque, anche perché sembra iniziata ovunque l’era della caccia ai fannulloni. Ma qualche precisazione Conte la vuol fare: «Un’azienda di 700 dipendenti è un perfetto spaccato statistico della città. Ci sarà senz’altro qualche pecora nera, ma la maggior parte è fatta di persone oneste». Eppure qualcosa non va, è evidente. «Siamo limitati nei controlli, io come direttore non dispongo certo di forze dell’ordine o di carabinieri da mettere a due a due ad ogni ingresso dell’azienda, perché poi è facile accusare di sequestro di persona, violazione della privacy, mobbing, eccetera. Se io faccio partire il foglio delle firme, nessuno mi vieta di pensare che qualcuno faccia delle telefonate per -avvertire- chi in quel momento è altrove. Poi a me arriva il foglio con le firme di tutti, e a quel punto posso far poco. Anche il meccanismo dei permessi è regolamentato, ma se poi c’è della, chiamiamola così, -compiacenza- tra capo ufficio e dipendente, secondo metodi che definirei poco ortodossi, allora il capo ufficio dovrà assumersene tutta la responsabilità».

Eppure esiste una legge dei tempi di Mussolini, un regio decreto del 1931, che all’articolo 27 consente di licenziare in tronco chi si rende -colpevole- di «scarso rendimento». Conte sottolinea che «applichiamo questo articolo da quasi due anni. L’ultima -tranche- di dipendenti che è stata -sub-judice- del consiglio d’amministrazione risale all’autunno scorso. Nulla di nuovo, dunque, qui a Messina non siamo gli ultimi della classe e non ci teniamo ad apparire come tali».