Giufà, l’ “eroe” siciliano simbolo della lotta contro l’arroganza del potere

Chi mai da piccolo non ha ascoltato almeno una volta le incredibili storie di Giufà, la divertente maschera popolare introdotta in Sicilia dagli Arabi. Quei racconti, tramandati per secoli dalla più vivace tradizione orale, che hanno accompagnato generazioni di bambini, prima che i cartoons per lo più giapponesi si impadronissero della loro fantasia molti li conoscono già dall’infanzia, a partire dalle più lontane generazioni fino ad arrivare a quelle più vicine, per chi ha ovviamente avuto genitori che conoscessero questa fetta di tradizione narrativa. Il signor F., classe 1960, afferma per esempio: “Il mio primo incontro con Giufà risale alla mia infanzia, a quando cioè cominciai ad ascoltare dalla viva voce di mia madre le storie incredibili di cui Giufà era spesso protagonista involontario. Mi incuriosiva e mi affascinava quello strano, singolare personaggio, a tal punto da popolare ancora oggi la mia fantasia”. Il popolo siciliano nella sua storia millenaria fatta di dominatori sempre serviti e sempre odiati, privo di strumenti di lotta, ha scoperto Giufà per il suo riscatto morale. Si è servito cioè del personaggio per esprimere sottilmente, ma in modo forte ed incisivo, attraverso la beffa, l’ironia, il sarcasmo e soprattutto la risata di aristotelica memoria, il dissenso e l’opposizione all’arroganza del potere e allo sfruttamento degli oppressi. Più che mai attuale quindi, l’insegnamento di Giufà, in particolare per le nuove generazioni, che attraverso la corrosiva ironia e l’irridenza beffarda del personaggio potranno crescere affinando le loro capacità critiche verso l’arroganza del potere e le storture della società. Timido e furbo, maldestro e intelligente, in Giufà convivono ad un tempo l’eroe e l’antieroe. Le sue storie hanno tuttora, nonostante le origini lontanissime nel tempo, una larga diffusione nell’area mediterranea, soprattutto nei paesi maghrebini dove rimane viva la tradizione del racconto orale. E così, pur con delle varianti e tipizzazioni locali, troviamo Giufà in Sicilia, Giuha in Algeria, Marocco e Tunisia, Giofà o Giugale in Calabria, Giocha in Israele e Palestina, Nasreddin Hoca in Turchia e in Albania. Un personaggio dunque, dai tanti nomi e dalle molteplici sfaccettature strettamente legato alla realtà in cui si muove. Giufà è ora un ragazzotto, ora un uomo; è triste, allegro, ricco e povero, onesto e disonesto; è tutto e il contrario di tutto. La sua figura è talmente radicata nell’immaginario popolare che ancora oggi, come ieri, egli diventa il termine di paragone positivo, ma più spesso negativo, utilizzato nel linguaggio del volgo: “fari commu a Giufà”, modo di dire dall’accezione che sta a significare l’esser sinceri. Si dice anche “ni fici quanto a Giufà”, per indicare un bambino, o anche un adulto, che l’ha combinata grossa. Ancora più noto il detto “l’arti ‘i Giufà”, che significa non avere alcuna arte, e le citazioni potrebbero continuare. Se certa è l’origine araba di Giufà, risalgono soltanto al XVII secolo le prime testimonianze scritte della sua presenza in Sicilia grazie a due poeti siciliani quasi sconosciuti, Venerandu Ganci e Mamo da Cianciana, che pescando nella tradizione orale raccolsero in versi le incredibili storie di Giufà. Si arricchiva così di un altro personaggio questo vasto filone della letteratura popolare che nel “Chichibio” del Bocaccio, nel “Bertoldo” di Croce, nel “Cacasenno” di Banchieri aveva i suoi “eroi”.

Vittorio Tumeo