“Dalla Competizione alla cooperazione: appunti per una sorellanza spirituale”

Grazie,
Intanto è questa la parola che limpida scorre sullo schermo della mia mente per aver ricevuto oggi questo invito a portare il mio contributo per la giornata della donna l’8 marzo del 2018.

Eppure vivo e opero in questa città da quasi 40 anni e non era mai accaduto .
Ho imparato molto presto nella mia vita a parlare solo se “interrogata” a tenere un profilo basso . Chiaro che la rabbia da qualche parte doveva pur affiorare.
Ho imparato come donna , vissuta in una famiglia con due fratelli maschi , a essere esattamente come loro.
Ho lavorato a 18 anni, ho prodotto reddito, ho cercato di fare esattamente quello che i miei genitori mi hanno sempre spinto a fare.

Di questi insegnamenti sono stata grata alla mia famiglia sempre, tanto, troppo.

Certo troppo perché alla fine care Amiche ognuno nella vita fa quel che può per cui presto ho iniziato a intravedere che in questo fare genitoriale mancava un pezzo importante per me bambina prodigio donnina perfetta che a quattro anni saliva sulla sedia a fare i piatti per fare tutti contenti .

Mancava il riconoscimento della mia femminilità , del mio essere bambina femmina e poi giovane adolescente e infine donna.

Ho vissuto gli anni del femminismo , c’ero , manifestavo, ascoltavo, urlavo. Ho sempre sviluppato uno spirito di cooperazione verso le mie amiche, ho cercato di essere utile alle persone che ho incontrato sul mio cammino. Eppure nonostante la mia pubblica visibilità mi sono sentita sempre abbastanza trasparente.

Cosa ci rende più felici.? Cosa inseguiamo con tanta foga e desiderio? Oggi che ho 56 anni penso di poter dare chiara risposta a questa domanda.

Ogni essere umano vuole essere riconosciuto, desidera gratificazione esistenziale calore e accoglienza. E allora come donna mi son chiesta ho ricevuto dai miei cari affetti quelli più vicini questo riconoscimento? Non è un riconoscimento solo del fare è un riconoscimento anche spirituale, di anima di essenza. Essere donna prevede il passaggio di un sistema di valori, di un codice femminile, di un percorso integrato al maschile e non in opposizione o in disvalore. Ho imparato che in una famiglia super accessoriata dal punto di vista culturale ci sono altri saperi da passare ad una figlia femmina, perché il sociale di ogni ordine e grado pensa per abitudine culturale al maschile. Ho contestato questa carenza , ho cercato strade infinite per colmare i vuoti, le solitudini, la disperazione.
Ma come, pensa la gente, ha tutto e si lamenta. Ha ricevuto un’azienda in eredità e parla di ricerca dei valori, di affermazione.

Cercare la donna e capire che mi trovavo alla periferia dell’impero del femminile ha causato in me veri terremoti psicoemotivi. Ho mollato la corda tesa sugli insegnamenti più barbari, meno utili: la competitività, la rigidità, la conoscenza razionale . Ho tirato la corda della dolcezza, dell’appartenenza, dell’accoglienza.

Ho superato la diffidenza che investe come una gelata lo sguardo di due donne che si incontrano per la prima volta e sono andata oltre quel muro di paura.

Ho steso mani e rilassato le tensioni, e non basta mai , si può fare sempre di meglio!Ho imparato un po’ a pensare alle donne , per le donne, con le donne.
Quando vedo una donna affermata , soddisfatta , di successo , mi illumino di quel valore .
Quando vedo una donna che si dimentica il sostegno che riceve per il riconoscimento del suo valore, mi intristisco forse mi arrabbio , ma alla fine penso che il tempo è un’illusione della mente e che ognuno ha un orologio interiore con il quale prima o poi dovrà fare i conti

Daniela Bonanzinga