La disamestade (l’inimicizia): il dolore degli altri è un dolore a metà

L’abolizione della protezione umanitaria è il provvedimento più importante del decreto sicurezza e anche quello più criticato. Secondo esperti e rappresentanti delle associazioni per i diritti civili, la norma è “una grave lacerazione nella cultura giuridica del nostro paese, un vero e proprio attacco ai diritti umani fondamentali che sono l’unica vera ricchezza della cultura europea. Se finora, il problema era garantire l’effettività di questi diritti, invece in questo momento assistiamo a un vero e proprio attacco alle libertà individuali, che sono le basi della nostra civiltà”.
Ma a parlare non sono soltanto esperti, Sindaci dissidenti come Orlando e De Magistris e Ministri bulli e populisti. A gridare sono cittadini neoleghisti contro avversari con un riacceso barlume di ideologia di sinistra. Ovviamente tutti, “fini giuristi” anche se guidano una motoape e vendono frutta da un posteggio in seconda fila.
Urlano, si minacciano, come cani in una zuffa furibonda che colpisce tutti e mischia dentro tutto e il contrario di tutto. Nelle discussioni da taverna si mettono insieme in un ordine da autoscontro, razzismo, ordine pubblico, immondizia, zingari, disoccupazione, religione, false ideologie. Si insultano politici e cardinali, giornalisti e persone comuni in una odiosa faida della parola, dove ognuno vuole essere l’ultimo a dire.
I versi di una struggente, meravigliosa canzone di De Andrè si adattano ai giorni di questa strana epifania. L’epifania, intesa come manifestazione, non più delle sole polemiche, ma dell’odio e prima di tutto della incomprensione dell’altro, non necessariamente un migrante o uno straniero.
La Disamistade (l’inimicizia) è il titolo ma non fa pensare ad una faida delle montagne sarde di cui ci racconta la canzone, piuttosto le parole sembrano raccontare di oggi, di gente che entra in chiesa e si batte il petto ripetendo tre volte “mea culpa” per restare poi divisa e lasciare in sospeso ogni altra vita, ogni altra storia.
C’è infatti chi intende, con semplicità normativa, “lasciare in sospeso speranze già smarrite” – sto usando le parole di De Andrè – per dare la sensazione che non può, almeno per gli altri, “esistere un mondo senza dolore” e che il nostro mondo non lo vogliamo condividere. E sappiamo soltanto non volerne sapere, perché cosi non ci renderemo conto di odiare, o almeno odieremo a metà, a distanza di sicurezza per la nostra coscienza.
F.sco Divino