La Festa del lavoro al tempo delle caste

“Volevo sparare a un politico”. Poi però Luigi Preiti ha sparato a due carabinieri, due servitori dello Stato per uno stipendio da miseria. Quanto accaduto a Roma deve farci riflettere, in occasione della festa del lavoro. Dobbiamo chiederci cosa sia successo in Italia da spingere un uomo normale a vedere in una figura indistinta, “un politico qualsiasi” e non quel singolo politico, il nemico numero uno da uccidere. Non per giustificare l’atto ma per leggere le pagine scritte dietro. L’uomo che ha sparato è uno dei milioni di disperati che devono guardare negli occhi i loro figli e dirgli: “non ho nulla da darti”. Un esercito di dolorose storie, piene di dignità, che assiste allo spettacolo indecoroso di una casta che continua a sbranare ogni cosa. La distanza tra la classe dirigente e il resto dell’Italia è diventata incolmabile, una forbice spaventosa anche in termini percentuali. Siamo come in India, con un popolo di intoccabili, la cosiddetta casta degli ultimi ed una piccolissima casta di irraggiungibili. Ed esattamente come in India se nasci in una casta non hai nessuna possibilità di “spostarti nell’altra”. Nasci, sopravvivi e muori in quella casta. La differenza tra i 500 euro di un precario, un cassintegrato, un cinquantenne licenziato, un disoccupato, e i milioni di euro incassati da un qualsiasi componente della classe dirigente è talmente ampia da non avere alcuna base né etica né logica. Non esiste infatti alcuna spiegazione matematica che leghi l’entità dell’indennità al tipo di lavoro svolto. Non mi riferisco solo ai politici ma anche ai grandi burocrati e dirigenti e manager che incassano cifre spaventose. Quando incassi uno o due milioni di euro l’anno o sei Gesù e quindi vieni pagato perché moltiplichi il pane o trasformi l’acqua in champagne, oppure, se sei un comune mortale, è eticamente immorale darti una simile busta paga. Stiamo parlando di cifre che in nessuna parte del mondo, se non nell’antica Roma Imperiale, vengono percepite. Si è perso il nesso del termine lavoro, il suo valore più profondo e il legame tra il lavoro di un uomo e la retribuzione. In secondo luogo si è perso il senso della parola lavoro come capacità di produrre cose reali. Anche i sogni sono cose reali, perché quando lavori ogni giorno per farli realizzare diventano più tangibili di ogni altra cosa. Abbiamo perso questo senso che i nostri avi ci hanno donato. Il termine “lavoro” era sì legato a fatica, sudore, impegno, dedizione ma anche al termine “creare” ed è sempre stato ciò che dà dignità ad un uomo, il modo per comunicare fuori quell’anima che si è dentro. Oggi quel filo si è spezzato e milioni di persone pensano di non valere nulla perché il loro lavoro non vale nulla. Di contro uno sparuto gruppo di persone che non crea valore né lavoro percepisce stipendi da nababbi. Non c’è nulla che possa spiegare perché in Italia un politico o un manager prenda più di Obama, soprattutto alla luce di ciò che è stato da questa classe dirigente “prodotto”: il baratro. Essere pagati per aver scavato le macerie al proprio popolo non è tollerabile. E’ la sproporzione inaudita che ti fa incazzare. Poi arriva un padre di famiglia e spara e noi invece di leggere cosa ha fatto saltare il suo cervello accusiamo chi fa antipolitica. Ci limitiamo a guardare gli effetti piuttosto che le cause. Se curi gli effetti non guarirai mai la causa.

Nei giorni scorsi l’ex consigliere regionale della Lombardia Nicole Minetti, ex igienista dentale di Berlusconi e nota più al gossip che ai cronisti di politica ha dichiarato: “Quando penso alla politica oggi mi viene da vomitare”. Detto da una che incassava ogni mese 13 mila euro, si faceva rimborsare i soldi per le creme per il corpo e i profumi, organizzava le serate del Bunga Bunga, ha fatto uscire Ruby dalla questura per portarla a casa di una prostituta, ti fa incazzare. Se vomita lei che ha uno stomaco che ha digerito di tutto figuriamoci noi. Mi ha turbato ascoltare l’ex deputata Livia Turco, che ha incassato la liquidazione d’oro: “embè sono per i miei figli e me li tengo” e sapere che nelle stesse ore in cui lo Stato non paga gli esodati o gli imprenditori che si bruciano in un’auto trova i soldi per questi onorevoli.

In Bangladesh nei giorni scorsi sono morte sotto le macerie di un palazzo donne che lavoravano per 30 euro al mese. Il padrone le ha costrette a lavorare nonostante l’evacuazione dell’edificio pieno di crepe. Voi direte che il Bangladesh è lontano. Io penso alle donne morte a Napoli l’anno scorso per lo stesso motivo e che ora nessuno ricorda e dico no, il Bangladesh e’ vicino nel pensiero. E’ quando si spezza il nesso tra lavoro e dignità che si è già in Bangladesh. Voglio dedicare questa festa del lavoro agli operatori delle cooperative dei servizi sociali Alba ed Europa. Hanno deciso di ridursi ognuno di 2 ore l’orario settimanale, passando da 38 a 36 ore, per consentire ai colleghi rimasti esclusi di essere assunti. Quando fai le battaglie per il pane insieme e sai che il sapore delle lacrime del tuo vicino è lo stesso tuo, la solidarietà diventa felicità. L’unica vera festa del lavoro è stata questa, questo gesto grandioso mentre intorno la casta degli irraggiungibili continua a scavare il fossato per non farsi toccare, è il simbolo dell’Italia di oggi.

Rosaria Brancato