Giovanni, l’amore per Messina, il lavoro che lo ha portato lontano. Un I° Maggio dedicato ai giovani “emigrati”

«Mi auguro che almeno i miei figli possano vedere qualcosa di diverso anche a Messina. Mi piacerebbe che quando saranno grandi e dovranno entrare nel mondo del lavoro possano avere la possibilità di scegliere se vivere a Milano o a Messina, senza che debba essere scritto da qualche parte che per lavorare devi spostarti per forza a Milano o all’estero. Un Paese giusto sarebbe così. Non dico che devi avere il lavoro sotto casa, ma neanche essere costretto per forza a spostarti a 1300 km».

In questo primo maggio, giorno dedicato al lavoro e alle rivendicazioni dei diritti di tutti i lavoratori, abbiamo scelto di dare voce ad un giovane messinese, purtroppo uno dei tanti, troppi, che per avere un’opportunità e un futuro all’altezza dei suoi sogni e delle sue ambizioni un giorno ha fatto la valigia, consapevole che non sarebbe più tornato a casa. Non ha ancora figli, ma la prima cosa che gli viene in mente quando gli chiedo cosa si augura per il futuro è la speranza che i suoi figli possano avere una possibilità che lui non ha avuto.

Giovanni De Grazia ha quasi 36 anni, è ingegnere elettronico e da 9 anni lavora presso una grande azienda che realizza apparati di telecomunicazioni in provincia di Monza. E’ un messinese innamorato della sua città e della sua terra, nonostante Messina e l’intera Sicilia non abbiano avuto nulla da offrirgli quando appena laureato ha provato ad affacciarsi nel mondo del lavoro. Aveva 27 anni, per qualche mese ha tentato di trovare un’occupazione che non lo costringesse ad andare via, ma sapeva che era difficile, a maggior ragione nel settore che aveva scelto. E infatti nel giro di qualche mese sono arrivati il colloquio, l’assunzione, la nuova vita a Monza. «All’inizio è stato facile perché una nuova città, la prima esperienza lavorativa, le prime responsabilità inevitabilmente ti trascinano. Poi però pian piano la nostalgia arriva, più avanti vai e più è difficile. E succede che dopo dieci anni ti fermi e ti chiedi perché le stesse cose non avresti potuto farle anche a Messina».

Sono le riflessioni di un giovane professionista che nonostante tutto si sente estremamente fortunato perché un lavoro ce l’ha ed è quello che ha scelto, due anni fa si è sposato, presto spera anche di allargare la famiglia. Resta un velo di malinconia per non aver potuto costruire tutto questo “a casa sua”, in una terra che ogni giorno dice addio a troppi giovani. Sono migliaia i messinesi, e in generale i siciliani, che sempre più negli ultimi anni hanno dovuto fare un biglietto di sola andata perché qui non c’è più nulla, e quel poco che c’è significa troppo spesso sfruttamento, precariato, significa doversi accontentare e sapere di non essere adeguatamente valorizzati. Non c’è sviluppo, non c’è programmazione, non ci sono investimenti nei settori chiave. E se oggi si scappa dal sud Italia per cercare fortuna al nord, molto presto si dovrà cambiare meta e andare all’estero perché le opportunità diventano sempre meno in tutto il Paese. Lo sa bene Giovanni che racconta di ricevere offerte solo dai paesi esteri, ma che vuole tenere duro perché gli dispiacerebbe dover lasciare anche l’Italia dopo che ha dovuto rinunciare alla sua terra.

Una storia come tante, ormai tutti abbiamo un amico, un fratello, un vecchio compagno di classe che vive lontano e che vediamo solo durante le vacanze estive, il Natale o la Pasqua. Lo stesso Giovanni sorrise quando gli chiedo se lì dove vive lui ci sono altri giovani messinesi ormai emigrati. «Ce ne sono eccome. A cominciare da mia sorella e mio cognato, lei architetto e lui ingegnere elettronico come me, un altro caro amico impegnato come amministrativo all’Università, tanti colleghi che lavorano a Milano e zone limitrofe e proprio nel laboratorio in cui lavoro io da qualche mese è arrivata una ragazza di Messina, anche lei da poco laureata in ingegneria elettronica. Questo però non mi consola, anzi mi fa ancor più rabbia, soprattutto se penso che ormai è necessario spostarsi anche per fare un lavoro normalissimo che non richiede particolari requisiti. E in fondo è quello che capita anche me, considerato che non lavoro di certo alla Nasa».

Resta l’amaro in bocca perché c’è l’assoluta certezza di non avere la possibilità di tornare a Messina, perché non ci sono occasioni. E, se anche ce ne fosse una, si sa che le condizioni sarebbero svantaggiose. «Io ho lasciato il cuore a Messina, mentalmente vivo sempre in trasferta anche se mi sono sposato e ho fatto base qui. Ma tornare è un’ipotesi che oggi non posso neanche prendere in considerazione».

Giovanni non può tornare, ma ogni volta che può corre verso la sua Messina per respirare quell’aria che riempie i polmoni della sensazione di “casa”. Una città che però vede peggiorare sempre più ogni volta che torna: «Vedo sempre meno disciplina, meno controlli e più degrado. Vedo sempre più saracinesche abbassate e una rassegnazione dilagante e tutto questo è molto triste».

E’ per questo che Giovanni, in occasione del primo maggio, esprime due desideri. «Vorrei fare qualcosa nella mia città o per la mia terra, mi piacerebbe lavorare in Sicilia o per la Sicilia. Ma è una cosa che francamente in questo momento vedo impossibile e distante. Quindi, per tornare con i piedi per terra, penso che in questo momento non posso sperare di più che che avere sempre un lavoro stabile che mi dia la possibilità di continuare a lavorare sempre in Italia».

Speranza e desideri di un giovane e probabilmente di un’intera generazione che le classi politiche continuano a ignorare, come se il problema non fosse di tutta Italia. Giovanni poi è un siciliano e le radici sono difficile da estirpare quando nelle vene scorre il sangue di questa terra tanto bella quanto disgraziata. «Non è facile dire cosa mi manca di più. Mi manca proprio il contatto con la terra, con la mia Sicilia. Alcuni la chiamano “sicilitudine”, una specie di saudade. Mi manca quella sensazione di sentirsi a casa, semplicemente guardando il cielo e respirando. Qui mi sono ambientato ma non sarà mai casa mia, c’è poco da fare».

A Giovanni, che un lavoro ce l’ha e che sogna di poterlo fare nella sua città, a tutti quelli che hanno lo stesso desiderio, a chi sta preparando le valigie perché ha capito che non ci sono opportunità, a chi invece si ostina a rimanere sperando che il vento prima o poi cambi. A loro e a noi dedichiamo questo Primo maggio. Affinché i sacrifici di oggi possano lasciare qualcosa di buono ai messinesi di domani.

Francesca Stornante