La Caleservice “cartiera” di Genovese. Gli intercettati: “Colpa della famiglia”

“In realtà non ci sono dubbi, in ordine alla natura e alla funzione di Caleservice srl e delle società ad essa collegate: Caleservice si identifica pienamente con l’on. Genovese, gestendone il patrimonio ed operando mediante un sistema di fatturazioni fittizie allo scopo sia di abbattere il reddito imponibile, sia di fornire un’apparente giustificazione a proventi di origine illecita o comunque non chiara”.

Il capitolo dell’ordinanza relativo alla Caleservice va al cuore dei flussi finanziari, definendola “lo schermo dietro il quale ha operato Genovese, imputando alla società una serie di prestazioni inerenti le proprie esigenze personali e professionali. La conferma dell’identità tra la società e la persona fisica è evidente ove si abbia riguardo all’osmosi dei patrimoni, conseguente al sistematico e continuo flusso di denaro che coinvolge in un meccanismo vorticoso anche le altre società del gruppo”.

Ufficialmente la Caleservice appare come una società specializzata in consulenze e forniture di servizi, in realtà, sostengono i magistrati “può essere considerata a tutti gli effetti una cartiera”, ovvero la società usata dal deputato per rendere “invisibili” agli occhi del fisco una serie di spese ed entrate personali.

Vediamo di comprendere meglio, attraverso l’ordinanza, il meccanismo attraverso il quale, secondo i giudici: “la Caleservice è tra le società di Genovese quella che più ne gestisce il patrimonio e le esigenze familiari facendosi carico delle spese personali e procedendo ad un sistematico acquisto di immobili. Parallelamente intrattiene costanti rapporti con enti impegnati nel settore della formazione e a vario modo riconducibili a Genovese, ai quali affitta parte del patrimonio immobiliare ed apparecchiature”.

Costituita nell’aprile del ’97 ha sede in via Circuito Torre Faro, una sede coincidente con l’abitazione del parlamentare. L’attività dichiarata è: consulenza e pianificazione aziendale, fornitura di software e compravendita immobiliare. Le quote sociali sono così suddivise: il 99% a Francantonio Genovese e l’1% a Franco Rinaldi. Nella carica di amministratore si sono succeduti prima Rinaldi, poi Cettina Cannavò, quindi Giovanna Schirò. Dal 2010 in poi la Caleservice ha incorporato le società Medioimpresa srl, Euroedil srl (entrambe amministrate da Chiara Schirò) ed è titolare di rilevanti quote in altre società: con il 51% della Ge.Imm, con il 30% della Entertainment, con il 30% di Paride, con il 30% di Piramide (in liquidazione) e con quasi il 100% della Gefin Genovese srl. In seguito agli accertamenti della Guardia di finanza e alle analisi dei consulenti del Pm è stato evidenziato un vorticoso giro di fatture che si riferiscono ad operazioni inesistenti, ovvero emesse a fronte di operazioni in tutto o in parte non effettuate realmente. La difesa ha sostenuto che si tratta di fatture emesse da Genovese nella sua qualità di avvocato, tesi questa che non ha convinto i magistrati per una serie di motivi suffragati anche dal notaio Parisi, davanti al quale gran parte delle operazioni sono avvenute, che ha dichiarato di conoscere Genovese solo come imprenditore e di non aver mai saputo che fosse avvocato. In seguito ad una verifica fiscale del febbraio 2013 i Pm hanno appurato che il socio di maggioranza della Caleservice, Genovese, oltre a detenere il 99% delle quote era anche l’unico cliente della società che gli avrebbe fornito, dal 2006 al 2012 prestazioni per contabilità, consulenze, disbrigo pratiche, servizi, segreteria, affitto appartamenti, pulizie. Anche l’esistenza di una scrittura privata in cui si conviene una somma annuale che Genovese deve pagare alla Caleservice, quindi a se stesso (arrivando ad una cifra di 940 mila dal 2006 al 2012) non convince il gip: “le fatture emesse annualmente sono false, inerenti a prestazioni mai eseguite ma funzionali a consentire evasione fiscale”. La natura fittizia delle fatture emesse emerge da una serie di fatti, come l’inesistenza di una struttura e di dipendenti, o come la vicenda dei professionisti esterni. Caleservice, ad esempio, non ha impiegati. O meglio, ha dipendenti, ma, hanno scoperto gli inquirenti, non si tratta di personale specializzato, ma dei collaboratori domestici della famiglia Genovese, in totale 8 che si sono avvicendati in 5 anni costando circa 250 mila euro. I professionisti esterni invece hanno erogato prestazioni quasi “a loro insaputa”, scoprendo solo dopo le indagini di aver dimenticato di chiedere le parcelle. All’inizio dell’inchiesta infatti i rapporti con i professionisti esterni (commercialisti, avvocati) risultano sporadici e in gran parte per vicende interne alla società (acquisto di immobili o contabilità) e mai quindi per l’erogazione di servizi a favore del deputato Pd, che dovrebbe invece essere l’unica ragion d’essere della Caleservice.Ma ad esempio, a fronte di fatture emesse dalla società nei confronti del parlamentare per quasi un milione e 200 mila euro, la società ha contabilizzato, per quei professionisti circa 180 mila euro. In sei anni sarebbero stati corrisposti poco più di 300 mila euro a professionisti, dei quali la metà per spese notarili. “Costi- scrive il gip De Marco– che non possono in alcun modo giustificare l’esistenza di servizi asseritamente corrisposti a Genovese. Un dato così macroscopico che ha allarmato gli stessi indagati che hanno tentato di porvi un grossolano rimedio”. Ecco che il 7 maggio dell’anno scorso, quindi dopo le indagini, viene integrata la documentazione fino a quel momento esibita, con fatture e parcelle emesse dai professionisti Dario Zaccone, Pietro Cami, Francesco Cambria e Stefano Galletti per un totale complessivo di oltre 368 mila euro. “Improvvisamente- si legge nell’ordinanza- i professionisti hanno ricordato di avere svolto prestazioni per la Caleservice nei 7 anni precedenti e di essere ancora in attesa di un compenso, mai prima richiesto e mai registrato nella documentazione contabile della società, affrettandosi a depositare parcelle e preventivi. Gran parte della documentazione è falsa. Del resto è inverosimile che un professionista eroghi le proprie prestazioni per anni senza mai chiedere un compenso salvo farlo dopo l’avvio delle indagini della Guardia di Finanza”.

Secondo i magistrati esiste invece un rapporto diretto tra i professionisti e il parlamentare che non passa attraverso la società, come invece si è voluto provare a dimostrare soltanto dopo l’avvio delle verifiche contabili.

“La Caleservice si è fatta carico di una serie di costi sostenuti esclusivamente per far fronte a interessi ed esigenze personali dell’onorevole e della propria famiglia. I vari domestici sono stati posti a carico della società consentendo di trasformare costi personali in costi d’impresa. Tale pratica illegittima è stata usata anche per spese personali e beni voluttuari, come l’acquisto di gioielli, un natante di 300 mila euro, arredi, spese per giardino e piscina, nonché per finanziare la campagna elettorale. Tutti esborsi non deducibili dal reddito che invece, imputati fittiziamente a Caleservice come costi per la produzione sono stati dedotti dal reddito della società”.

Secondo quanto emerso dalla visura catastale inoltre la società è intestataria di 62 unità immobiliari e 4 terreni, tra Messina, Milazzo, Roma, Taormina e Barcellona ( cui se ne sono aggiunte altre dopo l’incorporazione di Medioimpresa ed Euroedil). Una parte del patrimonio risulterebbe locato al parlamentare per l’esercizio della sua attività di avvocato, altre fatture sono state emesse per canoni di locazione nei confronti di Rinaldi, ed altre ad enti collegati alla formazione.

“Si può argomentare che Caleservice altro non sia che parte di un sistema fraudolento avente un duplice scopo. Per un verso consentire l’indebito abbattimento fiscale dei redditi a lui riconducibili, per un altro fornire un’apparente giustificazione ad una serie di redditi di origine quanto meno incerta”.

La tesi sostenuta dai magistrati è quindi quella che la Caleservice sia servita per “nascondere” agli occhi del fisco, e quindi evadere, spese e patrimoni personali o entrate di vario genere. Sull’esponenziale aumento delle esigenze personali e familiari si basa anche una conversazione tra uno degli arrestati di mercoledì, Salvatore La Macchia, ed un altro esponente del Pd, Luigi Gullo, ed intercettata nel primo pomeriggio del 17 luglio 2013, dopo gli arresti nell’operazione Corsi d’oro.

Gullo– io lo dico qua, l’ho detto pure..l’87%, l’88% della responsabilità è determinata dal coniugio

La Macchia-si, si

G– perché se non c’era quella sfilza di persone da allocare non aveva il problema, perché poi il problema diventano i 1.500 euro..perchè devi dare i 1.500 a questo nipote, e a questo che facciamo, non gli diamo niente? Poi ogni nipote si fa fidanzato..ci sono i suoceri, i consuoceri…mamma mia

LM-entri in un meccanismo bestiale

G--Cioè, sono sei sorelle? Non so, 18 figli, quanti ne hanno in sei?

LM-Mah, un bel numero

G-Sono tutti fidanzati, poi ci sono le famiglie dei fidanzati, cioè…è una cosa…io mi ricordo allo studio, arrivava gente…sono il nipote di Francantonio…in realtà era il fidanzato

LM-si poi quelli sono più pericolosi ancora

G– Se pensi a quante persone erano coinvolte nella famiglia e il numero è destinato a crescere perché manca ancora il pezzo più grosso.

LM– Io vedevo nella quotidianità nell’eccessiva presenza su tutto, su qualsiasi cosa

G-sì, il cerchio magico non era di collaboratori politici, era di sera, a tavola e non si vede… Io ho un’altra convinzione, a lui non lo vogliono mettere dentro, a lui lo vogliono prendere nella tasca.

LM- già oggi l’hanno fatto

G- che gli hanno sequestrato

LM- certo…i beni legati agli affitti

G- ah, loro vogliono arrivare in alto

Rosaria Brancato