Cronaca

Diario di Giulia, laureanda messinese a Vienna. 1) La città: forse meno umani?

Giulia sei disposta a fare un periodo all’estero di ricerca per la tesi?” tutto ebbe inizio così…
Sono Giulia, ho 25 anni, e sono laureanda in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Messina. Coltivo la passione per la comunicazione da più di 10 anni, da quando frequentavo la quinta ginnasio e mi venne proposto di co-condurre un programma su Radiostreet sulla musica teen dell’epoca, e da lì non mi sono più fermata fino ad ottenere il tesserino di giornalista pubblicista. Spontanea sorge la domanda: “perché ti sei iscritta a legge?”. Perché una cosa sola non riesco a farla. E gli epiteti che mi seguono da quando ho parola “ecco l’avvocato del diavolo”, “la giustiziera dei deboli”, “se non vai fino in fondo non sei contenta, eh?” mi hanno spinta anche verso il mondo del diritto. Minimo comune denominatore? L’arte oratoria. Perché allora non far convergere queste mie due inclinazioni?

La mia tesi è in Company Law – diritto societario in inglese, materia aggiunta nel 2020 nel corso di studi – e studiandola si è accesa una lampadina. Il professore titolare della cattedra è l’avv. Dario Latella, ordinario di Diritto Commerciale, al quale mi sono presentata con questa sfida di scrivere la tesi su un caso che ha destato non poco scalpore nell’universo delle telecomunicazioni: l’OPA ostile da parte di Vivendi nei confronti di Mediaset . Da qui il flusso di pensieri inizia a volteggiare, per fermarsi ad un’analisi: qual è il rapporto tra la libertà di impresa e il pluralismo informativo nei principali Paesi occidentali di broadcasting? Pensavo sarebbe stato abbastanza lineare: cerco qua cosa dicono, cerco là che ne pensano, e tac il gioco è fatto. Sì, mi piacerebbe. E così sono finita a Vienna per un mese o poco più, generalmente la meta preferita e ambita è l’America, ma l’America è lontana, dall’altra parte della luna e così sono adesso in terra austriaca, presso un’università che sembra un progetto a computer, a cercare informazioni, confronti, risposte. Bene, direte, buona fortuna, ma chiminnifuttiamia? Passare dalla realtà messinese alla realtà viennese con la consapevolezza che non è una vacanza, fa un certo effetto. E per quanto siamo restii alle novità introdotte nell’ecosistema della città dello Stretto, parlarne, leggerne, è sempre importante.

WU Wien – University

Le prime impressioni in terra crucca

La città mi accoglie con il sole, ed un caldo fuori dal comune (ma d’altronde lo è dappertutto, a crisi climatica come siamo?). Fortunatamente avevo già avuto modo di visitarla più volte, muoversi non è un problema da affrontare. Facendo un giro in centro inaspettatamente trovo alcune strade chiuse, ed in lontananza musica, schiamazzi, risate: c’era il Pride!! Il pride di Vienna è forse uno dei più pieni e coinvolgenti in Europa. Già la città stessa esprime la sua solidarietà alla comunità LGBTQA+ costantemente: è frequente trovare le strisce pedonali alternate con strisce rispettivamente colorate come la bandiera arcobaleno; le università, i negozi, le grandi aziende – soprattutto di carattere economico/finanziario, il municipio, espongono la bandiera della comunità, o cambiano il logo, trasformando la luminosa città austriaca in un tripudio di colori che si mescolano con l’abbondante vegetazione che la circonda.

Pride 2022 – Vienna

L’inclusività, la partecipazione, sono intrinseche a questo popolo come una delle arterie principali del suo organismo. Al motto di #WeRideWithPride le metropolitane, i tram, gli autobus, le principali sedi istituzionali mostravano questa scritta e i cittadini, tutti, dai più grandi ai più piccoli (sembra una frase fatta, ma è proprio ciò che mi ha colpito, e di scontato ha ben poco) erano loro stessi la festa che girava per le strade. La solidarietà è espressa in modo chiaro e tondo, senza una macchia. Il senso di collettività parte proprio dalle istituzioni, dal motore che muove la macchina cittadina. Metto le mani avanti: trattandosi di un popolo dal carattere mitteleuropeo non ci si può non aspettare precisione ed una tendenza al disturbo ossessivo compulsivo nella cura di ogni elemento che compone le strade. Dalla pulizia delle grate, una ad una, alle fontane che ricordano di bere e restare idratati; dalla possibilità di vivere ogni angolo della città grazie a parchi, anche piccoli, ma con tante panchine e spazi attrezzati con amache, dondoli e attrezzi per il fitness, creati con i più svariati materiali, che sono tanto semplici da far pensare all’italiano medio che “ah ma lo potrei fare benissimo anche io”; dai semafori per le biciclette alla possibilità di avere tutto a portata di mano, tutto è pensato per tutti. E così è difficile lamentarsi. Lo Stato mette a disposizione ogni cosa per i suoi abitanti, ma pretende da loro la massima resa di produttività. Scambio equo? Reciproca soddisfazione? Così mi sono chiesta: perché a casa mia ci complichiamo tanto la vita? Perché accettiamo la nostra città così “sporca” e abbandonata a se stessa, così come la viviamo? Siamo forse meno umani rispetto a queste popolazioni? Quando viaggiamo siamo così tentati dal trovare i difetti nelle altre comunità che non cerchiamo invece di ammettere i nostri limiti, individuali e superindividuali, e di riempire la valigia con innovazione e benessere che dal singolo si espandono all’intero… con qualche souvenir.

Pulizia degli spazi aperti sollevando le grate e pulendone l’interno

… e quindi?

Sarà stato il clima elettorale al quale volente o nolente ho partecipato (lavorativamente parlando), e le solite frasi computerizzate ripetute con sinonimi o toni diversi dagli svariati, SVARIATISSIMI, candidati, che mi hanno fatto riflettere su come vengono considerati il benessere del cittadino, la visione futura dell’ambiente metropolitano e soprattutto il ruolo dei giovani per trasmettere valori e sane abitudini sociali. “Spazio ai giovani” “il futuro parte da qui” “non possiamo continuare in questa miseria per colpa delle amministrazioni precedenti” la colpa sempre agli altri… e poi? La concentrazione propagandistica, come abbiamo visto, ha abusato di certi termini senza consapevolezza degli stessi.

Mi piace chiudere questa prima riflessione con questa citazione “quando un giudice punta il dito contro un povero fesso, nella mano stringe altre tre dita che indicano se stesso”.