Michele Limosani: “Chi può curare Messina, città malata? Serve una terapia d’urto, un’impresa collettiva”

Tempostretto da oggi apre uno spazio a quanti vogliono contribuire alla crescita della città. C’è sete di partecipazione, di confronto, c’è voglia d’incontrarsi nel difficile percorso della condivisione. Vogliamo parlare di Messina e vogliamo che quanti hanno a vario titolo ruoli di responsabilità, che amano Messina come noi, che vogliono usare quei verbi al futuro che troppi ci vogliono togliere, lo facciano. Lo chiameremo il DIBATITTO DEL LUNEDI’, lanciando ogni lunedì un tema, attraverso la “provocazione” (nel senso migliore e costruttivo del termine) di personalità che vorranno dare il loro contributo. Vogliamo costruire, non demolire, vogliamo includere, non mettere confini, vogliamo che si parli, si ascolti. Nel corso della settimana lo spazio sarà a disposizione delle risposte, dei commenti, delle riflessioni. E’ il tempo del dibattito, e lo faremo in “rete” in tutti i sensi, pubblicando in rete gli interventi e facendo rete tra quanti credono che Messina sarà diversa, sarà migliore, sarà il luogo dove intere generazioni resteranno e metteranno radici, sarà una terra dove se l’erba del vicino è più verde l’intero condominio ne sarà lieto e metterà il concime. Noi ci crediamo.

Affidiamo il primo Dibattito del lunedì al pro Rettore Michele Limosani che pone un interrogativo di grande interesse:

Chi può curare la città?

Le notizie riportate dai quotidiani economici ed una lettura attenta della cronaca cittadina di queste ultime settimane ci consegnano un “quadro clinico” della città preoccupante; la città di Messina, città intesa come comunità di cittadini, sembra essere una città malata. La città appare incapace di generare opportunità di lavoro su larga scala e di creare condizioni in grado di migliorare la qualità della vita e delle relazioni sociali.

I sintomi di questa malattia sono evidenti; dal punto di vista economico mi limito a segnalare i recenti dati sulla qualità della vita apparsi sul Sole 24 ore e le statistiche annuali sul mercato sul lavoro, sulla disoccupazione, in particolare quella giovanile, e sulla chiusura delle attività commerciali. Oltre a registrare un crescente divario tra le famiglie con reddito sempre più vicino alla soglia di sopravvivenza e quelle che godono di redditi simili a quelli delle regioni europee più ricche (circa il 5% del totale), il valore del patrimonio immobiliare cittadino si è ridotto di circa il 30%. Siamo tutti diventati più poveri.

Il quadro si complica ulteriormente se alla crisi economica si accompagna un’endemica crisi morale e civile. Non può passare inosservato il crescente conflitto politico e sociale tra gruppi organizzati così come, solo per citare alcuni tratti distintivi del dato antropologico, una generale indifferenza e noncuranza per tutto ciò che non riguarda il proprio benessere, i propri interessi, i propri beni, gli amici e le reti di relazione. Con rassegnazione ormai assistiamo impassibili alla proliferazione delle argomentazioni “ad hominem”, ossia agli attacchi fallaci in cui viene sistematicamente aggredita la persona che asserisce o difende le proprie tesi, piuttosto che guardare al contenuto delle ragioni esposte. Si registra, con amarezza, un’incapacità diffusa di riconoscere anche i meriti altrui.

Una città malata, dunque, incapace di rappresentare il luogo primario di identificazione e di auto riconoscimento dell’individuo in quanto cittadino. Certo a tutti i livelli – individuale e istituzionale, pubblico e privato, anche se a scala diversa, è possibile individuare esempi virtuosi e di buone prassi. Essi non sembrano, tuttavia, sufficienti a curare il malato e a generare anticorpi in grado di proteggere l’organismo.

Che fare dunque? Forse quello che farebbe un paziente che si scopre malato; rivolgersi al medico. E ciò per il semplice motivo che solo il medico possiede le competenze necessarie per comprendere le possibili cause della patologia e proporre le necessarie terapie. Fuor di metafora, la vera questione è: chi può curare la citta?

La risposta non è facile; una cosa però è possibile dire. Visto lo stato avanzato e diffuso della malattia bisognerà pensare a terapie d’urto, anche invasive, in grado di coinvolgere la comunità in tutte le sue componenti; una sorta di impresa collettiva. Una terapia che né le precedenti esperienze di governo, né, per la verità, quella attuale sono state capaci di proporre. Al di là delle possibili soluzioni che si vorranno pensare per il futuro governo della città e dell’auspicio di un coinvolgimento crescente di cittadini che per moralità, competenze e conoscenza possono dare un contributo alla rinascita della comunità, diventa indispensabile avviare da subito un grande progetto educativo. Si cominci dunque dalle scuole dell’infanzia, per continuare nelle aule universitarie, per poi estendere il progetto a tutte le componenti della città. L’obiettivo è quello di modificare la struttura antropologica del tipico cittadino messinese, che se rimanesse tale, vanificherebbe qualsiasi tentativo di buon governo della città.

Michele Limosani