Sturniolo: «L’illegalità non è la mafia e le campagne per la legalità non sono lotta alla mafia»

Il dibattito post- Vara non lascia indifferenti neanche i consiglieri comunali. Gino Sturniolo di “Cambiamo Messina dal Basso” interviene con una nota e, in polemica con quanto sostenuto dai ragazzi di “Addio Pizzo” scrive: «ciò che mi rimane oscuro di tutta la vicenda della Vara e del dibattito che l’ha attraversata quest’anno è la motivazione per la quale il culto dell’Assunta e la conseguente partecipazione all’esercizio di tirare la Vara debba essere riconosciuto solo a coloro che hanno la fedina penale pulita».

Sturniolo sottolinea di parlare da «non credente, anzi, tecnicamente, da cattolico che ha perso la fede» e si domanda: «per quale motivo una persona coinvolta in problemi con la giustizia debba avere minori diritti nel chiedere Grazia alla Madonna di uno ligio al rispetto della legge non lo riesco a capire. Dovrebbe, caso mai, essere al contrario. Non bisognerebbe, secondo il pensiero cristiano, spalancare le porte a chi ha peccato? Non bisognerebbe, forse, aprire le braccia a chi ha abbandonato la retta via?».

Sulla scia di quanto affermato dall’assessore Todesco, che ha individuato nella gratuità della “prestazione” dei componenti del Comitato Vara l’elemento discriminante in senso positivo, l’accorintiano aggiunge: «non parlo, naturalmente, della gestione delle risorse economiche. Quella deve avvenire secondo meccanismi di partecipazione e di controllo in modo tale da impedirne una appropriazione indebita. Parlo della partecipazione ad un evento collettivo legato all’esperienza religiosa di una comunità».

«Dopo tanti anni – continua Sturniolo – quest’anno sono tornato ad assistere alla Processione della Vara. L’ho fatto forse perché, da consigliere comunale, mi sono sentito investito dal senso di responsabilità per le voci di tensioni che gravavano intorno all’evento. Oppure, semplicemente, ho voluto accompagnare moglie e figli che non c’erano mai stati. Mi sono riconfermato nel giudizio, che ne avevo sempre dato, di fenomeno che mescola elementi di religiosità forte con comportamenti che lo sono meno e che affondano le radici nell’identità di un popolo. Quando si dice che la Vara è del popolo non ci si discosta molto dal vero. La Vara è fortemente popolare. La Vara appartiene al popolo, ad un popolo non diviso in classi sociali. In mezzo ai canaponi non c’è distinzione di ceto ed è forse per questo, per la capacità di fare insieme una cosa (tirare la Vara con competenza e perizia fino al Duomo), che tutti ne vanno orgogliosi. Per un giorno tanti di quelli che negli altri giorni assistono da spettatori impotenti allo spettacolo del potere sono protagonisti. Non è il prima o il dopo che contano. E’ il durante. L’essere là in mezzo a tirare, ad urlare, ad applaudire e a farsi applaudire».

Nella sua nota, Sturniolo non risparmia attacchi alla sinistra, schieramento ideologico che, per la verità lo ha visto sempre in prima linea ed anche candidato, come ad esempio alle ultime elezioni regionali nella fila di Sel. Particolare questo che non gli impedisce di ritenere che «forse è per questo che tanti colti e benpensanti, specie se di sinistra, guardano alla Vara con tanta sufficienza. Perché per una volta una moltitudine cittadina, popolare, non colta, con la fedina penale non sempre intonsa prende il sopravvento. Si appropria della strada. Dura un paio d’ore, ma tanta irregolarità, tanta sfrontatezza, basta ad urtare i cultori dell’ordine e della disciplina. Della legalità. Urta, forse, chi nel resto dei giorni, nella piena legalità, prende possesso della ricchezza e dei posti di potere. E quando questo avviene oltrepassando i vincoli della legge (ad esempio attraverso raccomandazioni o evasioni fiscali) nella stragrande maggioranza dei casi non viene sanzionato. Ma il più delle volte questi, quelli nella legge, vanno avanti così, perché è normale. Perché se sei figlio di avvocato farai l’avvocato e se sei figlio di docente universitario sarai di certo un ricercatore brillante».

«Insomma – conclude Sturniolo – l’illegalità non è la mafia e le campagne per la legalità non sono lotta alla mafia. La lotta alla mafia è la lotta contro il potere criminale. La lotta alla mafia è la lotta contro chi si appropria delle risorse pubbliche, del territorio, delle reti sociali. La legalità è terreno di scontro politico. La storia è piena di legalità ingiuste che sono state modificate attraverso la disobbedienza e la rivolta. La legalità è il modo in cui un sistema sociale fissa gli equilibri tra le proprie componenti. La legalità è questa fissazione di norme ed è sottoposta al variare degli equilibri sociali. La legalità non è di per sé la giustizia».

L’opinione del consigliere comunale di “Cambiamo Messina dal Basso” è assolutamente rispettabile e sui social network è stata condivisa da molti e particolarmente apprezzata. Chissà però quale giudizio se ne sarebbe dato, se la stessa, identica opinione fosse stata espressa da uno qualunque dei consiglieri de Pdl o del PD durante l’amministrazione Buzzanca o Genovese…