Ecco perché Consiglio comunale di Messina e Ars dovrebbero andare a casa

Consiglio comunale di Messina e Assemblea regionale siciliana (insieme alla giunta Crocetta), per motivazioni diverse, devono andare a casa. Per quanto riguarda la Regione Sicilia inoltre dovremmo mettere in soffitta per sempre sia il comportamento da mendicanti adottato nei confronti del governo Renzi che lo Statuto divenuto un cappio. Sia per il Consiglio comunale che per Ars e Crocetta la strada auspicabile dovrebbe essere quella delle dimissioni collettive, termine ormai divenuto desueto. Le motivazioni sono diverse, la considerazione finale è la stessa.

Analizziamo i due casi.

IL CONSIGLIO COMUNALE

1)Gettonopoli- L’inchiesta che ha travolto lo scorso mese di novembre l’Aula di Palazzo Zanca ne ha minato irreversibilmente la credibilità e la legittimità. Su 40 consiglieri ne risultano coinvolti 29, ma stando alle dichiarazioni dei magistrati ed alla “griglia” delle contestazioni, la soglia dei 3 minuti stabilita dai giudici (giacchè non la prevede alcuna normativa), di fatto ha “limitato” il numero dei consiglieri incappati nell’indagine. “Se avessimo alzato la soglia dei 3 minuti- hanno detto i magistrati- sarebbero stati coinvolti tutti i consiglieri”. L’unica dei 40 a “non aver mangiato la mela” e ad avere “zero” contestazioni nella griglia è la capogruppo Ncd Daniela Faranda, che peraltro, a differenza di altri, non è salita in cattedra a dare lezioni pur avendone la possibilità. L’inchiesta ha reso un consiglio comunale eunuco, cioè delegittimato nella forma e nella sostanza, poco credibile e soprattutto attaccabile qualora decidesse di fare opposizione. Chi alza la testa verrebbe tacciato con la frase: “da che pulpito viene la predica”.

2)Il ribaltone- Nel volgere di pochi giorni il Consiglio comunale ha totalmente ribaltato la sua geografia, passando dalla maggioranza di centro-sinistra venuta fuori dalle urne ad una maggioranza di centro-destra. Posto che ormai dalla maggioranza Crocetta a quella di Renzi si è visto di tutto quanto a trasformismo, è la dimensione del fenomeno che caratterizza il ribaltone messinese. Se sovrapponiamo le due fotografie, quella di oggi e quella del giugno 2013, ci rendiamo conto di come il verdetto delle urne sia stato capovolto. Se dovessimo attenerci al quadro di oggi, con la maggioranza diventata azzurra, i messinesi sostenitori dell’attuale centro-destra tornando indietro nel 2013 avrebbero dovuto votare per Enzo Garofalo, che all’epoca era il candidato dell’allora Pdl e non per Felice Calabrò, che era invece il candidato del centro-sinistra (e che nel Pd è rimasto). La stessa Udc di Giampiero D’Alia, che nel 2013 ha sostenuto Calabrò, oggi con Garofalo ha formato Area Popolare. Se il quadro attuale fosse riportato indietro nel 2013 Garofalo vincerebbe al primo turno. I messinesi che nel 2013 hanno votato per i consiglieri del centro-sinistra portando a Palazzo Zanca una maggioranza di oltre il 60% si ritrovano in una situazione opposta. E’ come se scoprissero 2 anni e mezzo dopo di avere votato per il candidato sbagliato.

Con questa nuova composizione in teoria l’Aula dovrebbe iniziare a fare opposizione, dal momento che finora è stata solo a parole. Ma la mancanza del requisito di cui al punto 1, cioè la credibilità, renderebbe questa opposizione poco realistica. II punto 2 quindi, il ribaltone, viene vanificato dal punto 1, la delegittimazione, con un solo risultato possibile: le dimissioni.

A)Il consiglio comunale può scegliere di votare la mozione di sfiducia (in teoria dovrebbe avere i numeri, tra i 6 Dr che l’hanno presentata, i 4 che l’hanno portata dal notaio, Piero Adamo, e la nuova Forza Italia) qualora abbia deciso che l’amministrazione in 2 anni e mezzo abbia fallito. In questo caso andrebbero a casa consiglio e giunta.

B)possono dimettersi e continuare la battaglia politica fuori dal Palazzo, lasciando che l’amministrazione si veda approvati gli atti da un Commissario (nella sostanza non cambierebbe nulla perché finora l’Aula ha approvato i rari atti giunti per il voto). In Sicilia vale la legge regionale 20/2008 che all’articolo 203 della Parte II recita: “la cessazione del consiglio comunale per dimissioni contestuali della maggioranza assoluta dei componenti o per altra causa, comporta la nomina da parte dell’assessore regionale alle Autonomie locali di un commissario che resterà in carica fino al rinnovo degli organi comunali per scadenza naturale”.

Le opzioni dunque sono 2: sfiducia o dimissioni. Al di là degli interessi che ogni singolo consigliere può avere a restare in carica c’è un interesse primario che è quello di una città ad essere da un lato amministrata e dall’altro governata politicamente. Il consiglio comunale è l’organo che detta la linea politica. Continuare a vivacchiare non farebbe che peggiorare l’immagine che l’Aula sta dando ai messinesi.

L’ARS E IL GOVERNO CROCETTA

“Non farò mai inciuci né inciucetti, non farò mai il mercato delle vacche. Cercherò la maggioranza sui singoli provvedimenti, se ci riesco bene, altrimenti tornerò al voto”. Così declamava Crocetta a Servizio Pubblico, da Santoro, nell’ormai lontanissimo novembre 2012. Tre anni dopo, grazie agli inciuci, ai cambi di casacche e al mercato delle vacche, il governatore ha una maggioranza che si mantiene salda su unico presupposto: la poltrona. Martedì è stata bocciata la terza mozione di sfiducia presentata dal M5S e sostenuta da Lista Musumeci e Forza Italia. A salvare il governatore di sinistra, sono stati i consiglieri del Nuovo centro destra e dell’Mpa. Nel frattempo la Sicilia pende dalle labbra di Renzi per salvare un bilancio sull’orlo del disastro ed anche qualora il Presidente del consiglio gettasse altre briciole sul piatto il problema si riproporrebbe nel 2016. Renzi non solo ci ha commissariato ma tiene saldamente in mano la bombola dell’ossigeno. Vedere Crocetta e Cardinale (che era già ministro nella Prima Repubblica e prima ancora che Berlusconi scendesse in campo) alla Leopolda, è il segno di come la politica siciliana stia fallendo e di come Renzi non stacchi la spina solo per paura del M5S. In Sicilia si è verificato uno strano fenomeno: la campagna elettorale anticipata del Pd e dei suoi alleati a favore dei 5Stelle. Un Pd che affida lo scettro di capogruppo ad una deputata che in 3 anni ha cambiato 7 casacche, una giunta che ha cambiato più di 40 assessori, un’esperienza iniziata con Battiato e finita con l’apporto di ex cuffariani ed ex lombardiani e con un assessore, Carlo Vermiglio, alfaniano, un’Ars che ha partorito poche leggi e 3 riforme impugnate dal governo, sono tutte premesse che dovrebbero avere come conseguenza, dopo l’approvazione del bilancio, un atto di responsabilità verso la Sicilia mandando tutti a casa, e spedendo in soffitta uno Statuto speciale che ci ha reso schiavi dei nostri peggiori difetti. L’unico però a rinunciare alla poltrona è stato Fabrizio Ferrandelli, perché anche il M5S che pure potrebbe, non ha alzato il tiro dell’opposizione passando alle dimissioni collettive. Il rito stanco della mozione di sfiducia è ormai uno spettacolo che non fa onore neanche a quei deputati che si affannano e spiegare le ragioni del no.

A differenza del Consiglio comunale che ha due opzioni: dimissioni o mozione di sfiducia, per l’Ars si esclude la seconda, perché è una commedia già vista 3 volte e la quarta sarebbe stucchevole e offensiva per i siciliani.

Adesso si avvicina Natale, l’occasione migliore per fare quelle riflessioni che durante l’anno si rinviano, per fare un bilancio e guardare al futuro senza necessariamente mettere al primo posto le nostre esigenze o interessi personali.

Rosaria Brancato