La lezione di Nina Lo Presti e Gino Sturniolo, voci fuori dal coro. A perdere è Messina

Con le dimissioni di Nina Lo Presti e Gino Sturniolo a perdere è Messina.

Perde la Buona Politica, perde il Consiglio comunale, perde l’amministrazione Accorinti. E’ una sconfitta di tutti.

Totalmente diversi caratterialmente, Nina e Gino, come li chiamano tutti, sono diventati in questi 3 anni un unicum di battaglie politiche, come quelle figure mitologiche metà uomini e metà animali che traggono forza dall’unione delle diversità: il Centauro, l’Unicorno, la Sfinge, il Capricorno. Storie diverse alle spalle, diversi modi di agire, quel non essere uguali li ha resi un “gruppo” consiliare sui generis e compatto. Eletti tra le fila degli accorintiani della prima ora, si sono allontanati man mano che le mutazioni genetiche trasformavano la rivoluzione dal basso in altro da sé. E loro, transitati al gruppo misto, sono rimasti fedeli a quell’Accorinti della prima ora che però non è più.

Le dimissioni lasciano un senso di amarezza, ma non sono inspiegabili. Lo Presti e Sturniolo non sono “politici”, non ne hanno fatto una professione, non hanno fatto un ragionamento squisitamente politico che si basa sul calcolo dei vantaggi o degli svantaggi, dell’opportunità, delle conseguenze. Hanno seguito, come fatto sin dal primo giorno, il filo della coerenza e dei principi. Hanno dimostrato che dimettersi non è un gesto raro nè un atto contro natura. E’ possibile farlo persino nell’era del morbo di Attack. In questo strano pianeta che è il mondo della Politica c’è ancora chi si dimette anche se non arrestato, indagato, condannato o per un ricorso al Tar. Si sono dimessi per coerenza con i loro principi. Per questo sembrano una figura mitologica, perché non ne vedremo più.

Sono stati tra i migliori interpreti del ruolo di consigliere comunale. Per 3 anni si sono letti ogni delibera ed ogni atto destinato all’attenzione dell’Aula. La studiavano. Ci perdevano ore ed ore e si rivolgevano ad esperti e consulenti quando avevano un dubbio. Non li ho mai visti aiutare qualcuno per un certificato di residenza, in compenso sanno esattamente chi avrà vantaggi tra i maxi creditori del Piano di riequilibrio e per quante centinaia di migliaia di euro. Sono sempre stati tra i 15, massimo 20, presenti in Consiglio comunale e tra i 6, 7 sopravvissuti che restano fino alle 2 del mattino o il 31 dicembre. Hanno presentato mozioni, interrogazioni, esposti, segnalazioni e non c’è volta che non abbiano fatto mancare il loro intervento in Aula, anche se a quell’ora erano rimasti solo 3 giornalisti e i vigili. Hanno avuto sempre il coraggio dei loro no, anche se gli è costato l’emarginazione. Di Nina resterà il ricordo di interventi sempre appassionati, dettagliati, a testa alta, senza timori reverenziali, senza ipocrisie o salamelecchi. Di Gino resterà indelebile il discorso sul Titip, in un’Aula che non aveva idea di cosa stesse parlando, ma che gliel’ha approvato all’unanimità. Perché Gino è così, “parla difficile” e crede nei beni comuni e nella rivoluzione dal basso, ed è convinto che un consigliere comunale debba volare alto e non limitarsi a fare lo sbrigafaccende. Quel loro rigore li ha resi diversi da tutti. Sono rimasti accorintiani della prima ora mentre la stessa amministrazione non lo era più da tempo, ma sono altrettanto diversi dall’opposizione. Non erano né Guelfi né Ghibellini, perché pur essendo all’opposizione dei Guelfi non s’identificavano con i Ghibellini. Con l’operazione Matassa le cose si sono complicate. Quando in campo piomba all’improvviso una palla sporca di fango che rischia di sporcare tutti i giocatori e che pone seri interrogativi sulla gara, c’è chi preferisce uscire dal rettangolo di gioco anche a costo di perdere la partita e non rientrare mai più.

Pesa il silenzio di Accorinti, dal quale, con l’onestà intellettuale che li contraddistingue sono andati per annunciargli la decisione. Spiace che Accorinti non abbia speso una parola per fermare i suoi migliori giocatori. Ha perso l’occasione per dimostrare di essere diverso da tutti e di invitare i suoi più fieri e leali avversari a restare. Spiace perché una buona amministrazione ha bisogno di una buona opposizione. Nina e Gino rappresentano l’Accorinti che nel salone delle Bandiere, nel gennaio 2013, suonò la campana tibetana della rivoluzione interiore. Ha ragione Sturniolo, quando dice che De Cola, Cacciola, Signorino, non fanno parte di quel momento e meno che mai la Ursino o Eller. Accorinti non li ha fermati e non si fermerà perché come dice Sturniolo “è ubriacato dalla voglia di stare sulla scena e lo porteranno a sbattere”. Pesa il silenzio dei consiglieri. Solo Benedetto Vaccarino e Daniele Zuccarello li hanno invitati a cambiare idea con una nota e alla conferenza stampa c’erano solo Zuccarello e Antonella Russo. Quell’effetto moltiplicatore auspicato da Nina e Gino non ci sarà.

Consiglio e amministrazione sono uniti dalla sindrome di Stoccolma, si detestano ma sanno che la sopravvivenza dell’uno dipende da quella dell’altro. La giunta è convinta di avere una superiorità morale sintetizzata da quel “certa gente” usato da Accorinti all’Arena per definire i consiglieri. Salvo poi aver bisogno di certa gente per vedersi approvate le poche delibere che arrivano in Aula e sempre all’ultimo minuto. Il Consiglio considera l’amministrazione come un gruppo d’incapaci ma non li sfiducia per non dover tornare tutti a casa. Nina Lo Presti e Gino Sturniolo, ascoltando la loro coscienza sono voluti uscire da questa spirale.

A noi cronisti mancheranno, perché non è vero che sono tutti uguali.

A Palazzo Zanca il copione andrà avanti. Martedì l’Aula voterà la quinta versione del bilancio di previsione 2015. Il parere positivo dei revisori pone seri dubbi su criticità e rischi di danno erariale. E all’orizzonte c’è il verdetto della Corte dei conti. Sappiamo già come finirà e chi saranno gli 11-12 che dopo strepiti e ipocrisie approveranno il bilancio turandosi il naso. Stavolta però, dopo 3 anni, mancheranno gli interventi di chi, voce fuori dal coro, non ha mai rispettato quel copione. E peserà questo silenzio. Ne resterà l’eco.

Rosaria Brancato