La Messina che muore mentre l’altra Messina è in campagna elettorale

Brutto mestiere a volte quello del cronista. Capita che le cose ti restano addosso, le porti a casa e non riesci a pensare ad altro, finchè non le scrivi. Ma è lo stesso, perché spesso anche scrivendole quelle immagini non vanno via e vorresti far di più perché sai che le parole non bastano mai.

Ci sono due immagini che mi porto dentro e non riescono ad andar via e rappresentano, più di ogni altra, la distanza siderale che oggi c’è tra la politica ed il mondo reale.

Prima immagine: Palazzo Zanca, la strada transennata, sul marciapiede antistante il Comune ci sono le ambulanze, i vigili del fuoco e i materassi gonfiati, perché lassù, dalle finestre della saletta Commissioni, ci sono cinque lavoratori dell’Atm, senza stipendio da 3 mesi, che minacciano di buttarsi. Passeranno lì la notte, e il giorno dopo. I cancelli del Palazzo rimasti blindati alle proteste degli ultimi giorni, hanno visto donne e uomini arrampicarsi e restare attaccati alle inferriate con la forza della disperazione e l’aiuto dei vigili del fuoco, figure silenziose, così come i vigili urbani, ma sicuramente addolorate nel dover tentare di aiutare chi è nello stesso buco nero di loro. Cancelli blindati nella Casa comunale, un Palazzo con le casse vuote, con i mezzi di Messinambiente nuovamente senza gasolio, e sempre meno autobus e tram in strada. La prima immagine è questa, il fortino assediato di una città in guerra, allo stremo. E come in ogni guerra in prima linea ci sono i fanti, i soldati semplici, quelli che sono i primi a morire colpiti dai proiettili e dalle bombe.

Con i piedi penzoloni dalla finestra di Palazzo Zanca un lavoratore mi dice: “Io e mia moglie lavoriamo per l’Atm, non entra un euro da tre mesi. Abbiamo tre figli e per tutta la notte, passata qui al Comune, ho pensato a quello di 3 anni, non gli posso neanche comprare un gioco. Per acquistare le medicine ho chiesto alla banca una scopertura. E’ il mio dolore più grande”.

Mentre parliamo abbiamo di fronte lo spettacolo più bello del mondo: lo Stretto illuminato dal sole, il mare calmo, due enormi navi da crociera attraccate, la Madonnina sullo sfondo e viene da piangere anche a me, perchè in una città così ricca di tutto stiamo morendo così poveri di tutto.

La seconda immagine avviene nelle stesse ore dell’assalto a Palazzo Zanca. La seconda immagine è a Palazzo dei Leoni, la conferenza stampa di Angelino Alfano. Si parla di mutuo sociale, di Ponte, di voto disgiunto. E’ solo per un caso che era in programma l’incontro del Pdl, perché poteva benissimo essere quella di Crocetta, Marano, Miccichè, Sturzo, De Luca. E’ l’immagine di una politica virtuale impegnata nella campagna elettorale a pochi metri dalla Messina reale. La politica che parla di proposte, lavoro, famiglie,ma lo fa in termini astratti, quando poi, un palazzo più in là le parole lavoro-famiglia diventano materia viva e sanguinante. Si fanno proposte quando invece è subito, è vicino, che si dovrebbe intervenire. Si parla di lavoro e futuro ma non ci si accorge che la guerra del lavoro è davanti all’uscio e non in un altro pianeta. Basterebbe affacciarsi alla finestra per vedere ed agire. Senza andar lontano, senza volare alto, basterebbe rimboccarsi le maniche subito e a un metro.Viene da urlare, ma di che state parlando? Eccola Messina, ecco come siamo tutti in ginocchio.Svegliatevi.

Dunque, a Palazzo dei Leoni la politica, a Palazzo Zanca la Messina che muore. E’ come se esistessero due popoli che coabitano, per caso, nello stesso luogo. Da un lato il mondo autoreferenziale della politica, impegnata in una campagna elettorale cieca, senza occhi per l’altro mondo, quello fuori, quello a dieci metri di distanza dal comizio, che è l’unico mondo reale.

Quello che stupisce è la totale incomunicabilità tra i due mondi, come se ormai non ci fosse più modo, né la voglia di unirli.

Perché, questa è l’immagine più triste, a Palazzo Zanca in quella disperazione non si è visto neanche uno di quei politici da campagna elettorale, neanche per assumersi la più piccola fetta di responsabilità.

Eppure erano presenti, perché bastava fare una ventina di metri per vederli, in belle pose, uno sopra l’altro, nello spazio riservato alle affissioni. Me l’ha fatto notare un lavoratore dell’Atm, che stava con me sotto il Comune, con il naso all’insù verso quei suoi colleghi che gridavano rabbia e speranze. Mi ha detto: “Signora, guardi, qui non si vede nessun politico, son tutti scomparsi eppure fino a ieri erano qui e hanno lasciato questo. Ma sa dove sono? Guardi lì, alle sue spalle, eccoli lì, tutti sui manifesti”.

E la beffa più grande è che persino i manifesti elettorali, se li guardate bene, voltano le spalle a Palazzo Zanca ed alla sofferenza che trabocca. Perché lo spazio affissioni guarda il mare. Persino da lì, in fotografia, non riescono a guardarli in faccia. Semplicemente gli voltano le spalle.

Rosaria Brancato