A lezione di vita da una classe di quattordicenni

L’ha accompagnato come ogni mattina a scuola, per lasciarlo al bidello, che lo avrebbe poi seguito fino in classe. Ma quella mattina il bidello era assente, così lo ha accompagnato fino all’aula dove però ad attendere suo figlio c’era soltanto l’assistente infermieristico. La classe, una prima media, era deserta. Non c’erano compagni, non c’erano insegnanti, neanche quella di sostegno. Non c’era nessuno per il suo bambino, perché erano partiti tutti per la gita senza dirglielo, nascondendo un giorno di gioia a lui, “il diverso”. Usiamo dei nomi di fantasia: lui, 12 anni, con la sindrome di down, lo chiamiamo Andrea. Lei, la madre, Maria. Così se la signora Maria non avesse accompagnato il suo Andrea fino in classe ma l’avesse lasciato come ogni mattina al bidello, il piccolo sarebbe rimasto solo in aula per tutta la giornata, tradito dalle stesse istituzioni alle quali la famiglia lo ha affidato. Non ci sono lacrime per questa mamma, non ci sono parole di scuse per un comportamento che non ha definizioni. E’ successo a Messina, in una scuola media del centro. Questa storia l’ha raccontata Maurizio Licordari in un servizio andato in onda su Rtp ascoltando un familiare che, tra la rabbia e l’amarezza ha cercato di spiegare l’accaduto senza farsi sopraffare dalle lacrime o dalla voglia di spaccare tutto. E’ a questa mamma e al suo ragazzo che voglio dedicare la mia rubrica oggi. Mamma e figlio meritano le nostre scuse di cittadini di una realtà che non riesce a fare il salto di qualità che ti porta ad essere una società civile. Prima però voglio raccontare un’altra storia, avvenuta a Catanzaro, nel febbraio di due anni fa. Un’altra scuola media, un altro ragazzino con sindrome di down, un altro preside che decide di non far andare il piccolo ad un’uscita di orientamento “perché tanto non vale la pena e lui combina guai”. Già qualche guaio. Alzi la mano lo studente o l’insegnante che non sa cosa migliaia di ragazzi combinano nelle gite, in fondo quella è la parte più divertente ….. Nella storia di Catanzaro il dirigente scolastico va oltre. Sa bene che la normativa prevede che TUTTI i disabili partecipino alle gite d’istruzione e devono essere rimosse tutte le “barriere” che ne impediscono la partecipazione. Il dirigente chiede ai compagni di mentire e nascondere al compagno l’organizzazione della gita. Ma i nostri ragazzi per fortuna sono migliori di come li immaginiamo. Così, quando il preside fa una proposta da far rabbrividire ecco che si alza in piedi un quattordicenne e dice: “Se non viene lui non vado neanch’io”. Era un’uscita di orientamento presso un istituto superiore, quelle che si fanno per far scegliere ai nostri ragazzi cosa fare da “grandi”. Questo 14enne e i suoi compagni hanno dimostrato di essere già “grandi”. Non sappiamo bene come è andata e chi per primo si è alzato in piedi e ha detto no, quale sguardo da adolescente imberbe o ribelle si sia levato per primo contro la decisione del preside. Ma l’ha fatto, ed io lo immagino come in un film con i ragazzi che si alzano fieri uno per uno finchè il coro di “se non va lui non vado neanche io” finisce con il prevalre sull’autorità. Mi piace pensare che oggi quei ragazzi portino nel cuore quel gesto come il momento in cui sono diventati adulti. In quell’istante sono diventati parte attiva della società e l’hanno cambiata con un semplice gesto “rivoluzionario”. Quelle parole sono state una lezione di vita per un gruppo d’insegnanti che avevano smesso di essere missionari. Nella nostra storia non è andata così. La signora Maria ha accompagnato Andrea in classe ed ha trovato un’aula desolatamente vuota e l’unica eco che si sentiva era “tu non vieni con noi perché sei diverso”. Non riesco a immaginare che tipo di educatore può essere quello che nasconde al ragazzo ed alla sua famiglia l’organizzazione di una gita, lo fa di nascosto, con la “complicità” degli altri. Il silenzio E’ COMPLICITA’, non trinceriamoci dietro nessun alibi. Il silenzio, anche il migliore dei silenzi è connivenza. Sarebbe bastato dirlo ed evitare ad una famiglia una ferita che non guarirà mai. Se la madre non avesse accompagnato Andrea in classe e avesse scoperto che erano tutti via, il ragazzino sarebbe rimasto solo per tutto l’orario scolastico in un’aula vuota sapendo che i suoi compagni erano insieme a divertirsi. Un’aula vuota. Quell’aula che dovrebbe essere la culla dove ogni famiglia lascia il proprio cucciolo per farlo diventare uomo, dove ogni famiglia lascia il proprio tesoro perché impari il mondo fuori, quell’aula per quel dodicenne sarebbe diventata per tre, quattro ore, una prigione, la dimostrazione che lui, per gli altri: è diverso. La scuola ha il compito di integrare e insegnare, aiutare i bambini a diventare uomini. Il valore dell’inclusione e della tolleranza si impara anche a scuola e le famiglie, in una società civile, affidano i proprio figli all’Istituzione-scuola perché è la prima frontiera di quel mondo esterno che i ragazzi incontrano. E’ lì che imparano a diventare persone consapevoli, responsabili. Se fallisce la scuola ha fallito una comunità intera. Quei ragazzetti di appena 14 anni di una terza media calabrese ci hanno dato una grande lezione di vita dicendo un NO che resta da esempio. Un NO che è nato dal profondo di un cuore nel quale il vicino di banco con la sindrome di down è un loro compagno. E con un compagno, come dice appunto la parola, si divide tutto: l’ora di matematica in cui non si capisce niente, la ricreazione in cui si racconta cosa hai fatto ieri, l’interrogazione quando suggerisci, la gita scolastica. Se un compagno, per qualsiasi ragione, resta indietro, torni e cammini accanto a lui, anche se tu hai pattini e lui una croce sulle spalle. Se il tuo compagno resta indietro tu rallenti e lo aiuti a portare lo zaino. E’ una lezione di gran lunga più importante del teorema di Pitagora o della guerra dei 20 anni. Invece nella nostra storia si è impartita una lezione d’intolleranza. Di più, si è insegnato ad una classe a mentire per nascondere l’intolleranza. Invece di valori quali integrazione, inclusione, condivisione si è insegnato il silenzio, l’omissione, l’esclusione, la bugia. Per la prossima gita scolastica suggerisco quale meta la scuola media di Catanzaro dove ci sono 14enni maestri di civiltà. Magari stavolta a casa ci lasciamo qualcun altro…….

Rosaria Brancato