Non temo il Salvini in sè ma il Salvini che è nei siciliani

Il giorno di Pasquetta sono sbarcati più di mille e duecento migranti. La macchina dell’accoglienza si è messa in moto e nel giorno delle grigliate in campagna e dei doppi e tripli turni per abbuffarsi al ristorante, la nostra terra accoglieva lacrime e ferite. E’ anche scattata su Facebook una raccolta di coperte ed abiti da portare allo sportello migranti del Papardo, ma è stata interrotta perché in poche ore era arrivato tanto di quel vestiario che non sapevano più dove metterlo. Anche questa è Messina.

Ha ragione Alessandro Russo quando scrive: “Caro Matteo Salvini la Sicilia è madre. Noi non sappiamo odiare”. Ha ragione.

Però…..

Però dobbiamo guardare in faccia tutti i fenomeni sociali, anche quelli che non ci piacciono, anche quelli che non vediamo ma sono sotterranei, sono come quei rigagnoli che attraversano caverne e all’improvviso sbucano fuori, come quelle crepe nel soffitto che all’inizio neanche vedi ma poi diventano ragnatele enormi.

Salvini non gira il Sud per caso o semplicemente perché cerca voti. Salvini sa benissimo d’averci insultato fino a ieri, d’aver intonato cori contro i meridionali e assecondato l’odio dei leghisti. Se sbarca in Sicilia e si prepara a fare le liste è perché sa che c’è quella “crepa” nel nostro soffitto e quella crepa ha un’origine e avrà un futuro. La crepa nasce dove c’è la guerra tra poveri, nasce dove c’è fame, rabbia, dove la speranza annega nella delusione. Salvini sa che quell’odio per anni indirizzato verso i terroni adesso sarà spostato verso chi è più a sud. C’è sempre qualcuno più a sud, qualcuno più povero, più disperato. Salvini sa che troverà terreno fertile in una Sicilia alla fame, delusa, svuotata dai giovani, dai cervelli, dai soldi, una Sicilia seviziata dalla sua stessa classe dirigente.

Sono una giornalista “di strada”, in 30 anni di lavoro ho imparato che le cose si scoprono più nei bar,nelle piazze, tra la gente, che nei palazzi. All’approssimarsi del Referendum 4 dicembre non avevo alcun dubbio che la valanga di No avrebbe sommerso Renzi. L’ho anche scritto. Ascolto la “pancia” della gente. Vado al tabacchino (pardon, rivendita di tabacchi) e parlo con la gente, vado dal parrucchiere e ascolto, vado al mercato e ascolto.

Se ascolti lo senti che da quello stomaco sta per uscire un grido.

Caro Alessandro Russo hai ragione, noi non sappiamo odiare, la Sicilia è madre. Ma è madre di figli che emigrano a migliaia. E’ una madre SOLA e affamata di tutto. E’ una madre arrabbiata perché tutto le hanno tolto.

Lo avverto nei commenti, negli sguardi ai semafori pieni di elemosinanti, nei discorsi nei bar, avverto che quell’accoglienza che ci fa sentire tanto progressisti non riguarda tutti. Certo, c’è il grande cuore dei volontari e delle istituzioni, c’è l’indifferenza di chi non è interessato. Però c’è quella crepa nel nostro soffitto, c’è chi comincia a protestare. Esattamente come avviene in molti Comuni del nord.

Dove abito quasi ogni giorno vedo gruppi di giovani migranti passare sotto casa mia. Non ho paura, anzi, mi danno allegria, perché le nostre strade si sono svuotate di giovani. Siamo una città di vecchi. Mi danno allegria perché il loro sguardo è quello di chi ha lasciato il peggio alle spalle e ha il coraggio di sperare.

Quel coraggio che noi non abbiamo più.

Non vedo in loro il nemico. Ma sempre più spesso sento discorsi che sembrano presi da quella trasmissione che Crozza imita ogni tanto, “Dalla vostra parte”, quella su Rete 4, la sera, con collegamenti in diretta con gruppi di persone che sembrano un mix tra discendenti del Ku Klux Klan e marziani. Neanche Crozza riesce ad avere tanta fantasia rispetto alle cose assurde che mi è capitato di ascoltare in quei collegamenti. Più che profughi provenienti da guerra e morte secondo quei racconti sono creature provenienti dagli inferi per portare in Italia il male supremo.

Caro Alessandro io le ho sentite anche a Messina queste cose. Le sento sempre più spesso. La paura che ci possano fare del male, la paura del contagio di chissà quali assurde malattie, la rabbia per quello che il governo dà a loro (e che invece finisce nelle tasche di quanti lucrano sull’accoglienza) e che stride con la povertà della nostra città, dove c’è chi rovista nei cassonetti e chi fa la fila alla Caritas e alla mensa di Sant’Antonio. Io le ho sentite le frasi sui cellulari e sulla bella vita dei migranti.

Le ho sentite da voci cortesi, educate, colte. Da donne, uomini, ragazzi.

Quando è venuto Salvini al Palacultura è intervenuta una signora che abita nella zona della caserma Gasparro ed ha lamentato una serie di disagi che riguardano l’intero rione e centinaia di famiglie. Ha raccontato dei giorni senz’acqua e di una guerra tra poveri che sta per esplodere.

E nelle frasi che sento per strada il passaggio dai “neri” ai rom, all’invasione dei rumeni, all’Isis e alla terza guerra mondiale il passo è breve.

Ogni attentato in qualsiasi punto del mondo è un centimetro in più in quella crepa della parete della Sicilia madre.

Attenti perché chi la pensa come Salvini non va al Palacultura a stringergli la mano.

E lui lo sa. Non penso che farà chissà quale risultato elettorale, ma la rabbia c’è. Il 4 dicembre dentro quel 70% di no al referendum c’erano anche quelli scritti con la rabbia. Una parte di questi voterà 5Stelle ma c’è una parte di elettorato che ha tanta voglia di scrivere sulla scheda VAF… Non sappiamo quanti invece che disertare le urne o scrivere quel “vaf” opteranno per tramutare quella rabbia in un voto verso chi quella rabbia l’ha ascoltata.

Quando devi difendere la tua casa, le tue cose e quando la tua casa diventa sempre più misera e piccola, diventi in grado di odiare.

C’è una frase di Gaber, “Non temo il Berlusconi in sé ma il Berlusconi in me”. Erano gli anni in cui nessuno ammetteva di volerlo votare ma poi aveva il plebiscito. La gente si vergognava di dire che votava Forza Italia, era “poco chic”. Ma lui vinceva. Parlava ad un parte del corpo che non sta nella testa.

Io non temo Salvini in sé, ma il Salvini che è nei siciliani.

E quella crepa sottile, quasi invisibile, che cresce ogni giorno.

Rosaria Brancato