Caro diario: cronache da un Paese in guerra. Come a Macondo in Cent’anni di solitudine

Caro diario, l’ultima volta che ti ho scritto temevo che prima o poi sarebbe arrivata l’invasione delle cavallette e c’è stato chi ha detto: ecco, Donna Sarina, la solita disfattista (vedi qui). A distanza di 10 giorni non mi sembra che ci siano scene da Paradiso Terrestre tra canti di uccellini e petali di fiori profumati. Anzi, a proposito di profumo, come dice il collega Sebastiano Caspanello ormai accanto alle autobotti dovranno mettere i punti di distribuzione dei deodoranti. La verità è che ormai sembra di essere in un Paese in guerra. Non una guerra moderna, ma una di quelle uscite dalle pagine di Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez. Cavallette o no sembra di vivere a Macondo in un tempo senza più tempo, isolati dalla civiltà, dal senno, dal progresso, dalla serenità.

Solo a Macondo poteva accadere quel che sta accadendo qui. C’è un tubo rotto a causa di una frana mandata dal Dio del dissesto e ci sono episodi che vedono la natura e la malasorte a braccetto con gli errori umani. Ci sono le truppe del colonnello Buendia che lottano alla frontiera di Calatabiano, in mezzo al fango, una guerra immaginaria contro un nemico invisibile che rompe di notte quel che si aggiusta di giorno, ma fanno la figura dei Giufà annunciando trionfi e armistizi smentiti poche ore dopo dal “folletto della condotta”. E tu non capisci dove finisce la sfortuna e dove inizia l’incapacità e ti chiedi se invece dell’acqua di Fiumefreddo non sia più urgente e risolutiva l’acqua di Lourdes. C’ è la “guerra dei mille giorni” di Macondo con colonnelli divisi nei diversi accampamenti e dai quartier generali partono le autobotti invece dei carri armati. Ma c’è una tale confusione che le autobotti arrivano in ritardo, non capisci mai dove, quante sono, e soprattutto QUANDO. Nel caos più totale tra indirizzi mail per le emergenze, numeri di fax, telefoni ai quali non risponde nessuno, tabelle informative su orari e serbatoi che sembrano rebus della settimana enigmistica, ho capito da quale serbatoio dipendeva la mia salute fisica e la mia sanità mentale solo grazie a Salvatore De Maria di Rtp, giacchè nella terra di Amam-Macondo l’unica regola è la confusione. La canzone simbolo “mettete dei fiori nei vostri cannoni” è diventata “mettete i saponi nei vostri cannoni…”. Come nelle guerre sono iniziate le file, ma invece che presentarci con la tessera per il pane ci sono centinaia di mamme, anziani, con bidoni dietro le autobotti. Ho visto distinte signore trasformarsi e litigare furiosamente davanti ad un autobotte: “lei non ha fatto la fila” “si ma ho la mamma col by pass come quello dell’Alcantara” e giù colpi di borsetta. In tutta Italia hanno visto immagini simili a quelle di un Paese dopo la guerra, come quando il nemico fa saltare i pozzi o li avvelena per mettere in ginocchio una città durante l’assedio. Ho visto gente al porto attendere la nave cisterna con la stessa gioia dei francesi lo sbarco in Normandia degli americani. Ma a riparare il buco nel tubo usato per prendere l’acqua dalla nave, sono stati gli stessi marinai perché le truppe dei Buendia erano alla frontiera di Fiumefreddo pensando di sistemare tutto con la Coccoina e il nastro adesivo. Come in una guerra sono comparsi gli sciacalli, che hanno venduto l’acqua al mercato nero. Ho visto amministratori di condominio che hanno rischiato il linciaggio perché non ottenendo dal Comune le autobotti promesse (forse pensavano di fare come Gesù con i pani e i pesci e moltiplicarle) sono stati costretti alle più disparate soluzioni. Ho visto anziani, disabili, famiglie disagiate costretti ai pellegrinaggi tra uffici pur di avere un diritto. Scuole chiuse, negozi chiusi, uffici, chiusi. Un’amica mi ha raccontato che qualcuno le ha scoperchiato il serbatoio rubandole l’acqua. Ho visto i dipendenti di Palazzo Zanca inferociti protestare nel cuore del quartier generale rimasto a secco. Quando ho visto sui tetti figure aggirarsi con fare sospetto ho temuto fossero cecchini, invece erano solo i miei vicini di casa abbracciati in lacrime ai serbatoi vuoti e invece del fucile in mano tenevano una pompa. Ho visto dirigenti e liberi professionisti interrompere riunioni e vertici di lavoro dicendo: “ha chiamato mia moglie, devo tornare a casa a fare la doccia, è arrivata l’acqua”. E ho visto mariti chiudere un occhio trovando un intruso nerboruto nell’armadio ma pronti al delitto d’onore qualora fosse stato beccato in bagno a farsi lo shampoo.

Ma a Macondo la gente ha fantasia, così ci sono stati corsi di formazione per imparare a lavarsi i denti con la Mangiatorella senza sprecare troppa acqua, o il bidet senza farsi aiutare dai vicini. Per 10 giorni nessuno ha più partorito per non far rompere le acque “meglio che me le conservo” (anche questo copyright di Sebastiano Caspanello), e alle donne è bastato lavarsi i capelli con la Ferrarelle per farsi la permanente senza spendere troppo. Ho visto gente commuoversi davanti al rubinetto e alzarsi alle 5 del mattino sperando di sentire rumori provenienti dal bagno o dalla cucina. Se a Macondo la civiltà è arrivata con la costruzione della Ferrovia dalle nostre parti siamo ancora in attesa di sostituire i vagoni bestiami con Intercity di terza mano. Mentre “piove” e potrebbe ancora piovere, come racconta Marquez nel diluvio durato 4 anni provocato ad arte dagli ingegneri per punire i sindacati che non volevano calare la testa, a noi non resta che raccogliere le lacrime per evitare sprechi. Quando tornerà l’acqua nel rubinetto di casa mia avrò lo stesso sguardo del piccolo Aureliano Buendia quando scopre il ghiaccio per la prima volta. Già, perché Donna Sarina sta nel Quartiere Lombardo dove l’acqua del serbatoio di Mangialupi non arriva perché se la pappano tutti gli utenti che ci sono prima. Siamo a migliaia a Messina con lo stesso problema: poiché non esiste un moderno e razionale sistema di distribuzione restiamo fregati da quellidiprima che non sono i vecchi politici ma i residenti negli isolati più vicini ai serbatoi. Tra pochi giorni scoppierà la guerra casa per casa e in nome della “democrazia del bidone” faremo irruzione in via Bergamo o in via del Santo requisendo i frigoriferi, le vasche e sigillando i loro serbatoi. Sia chiaro, non faremo prigionieri, neanche in via Monza.

In tutto questo chi vuol parlare con il sindaco Accorinti deve attendere un buco orario tra Barbara D’Urso e il Fantabosco. Ormai l’ufficio di gabinetto del sindaco non ha più l’agenda degli impegni ma un palinsesto televisivo. Se vuoi parlare col sindaco ti devi travestire da Ilaria D’Amico. Non appena vede un microfono ha la stessa reazione di un messinese di fronte ad una doccia calda.

D’altra parte c’è un consiglio comunale messo in ginocchio dall’epidemia del morbo di Attack, le cui cause sono ancora in fase di studio. Nei giorni scorsi abbiamo assistito alla gara a chi ha “la mozione più bella”. Io ce l’ho più bella della tua, dicono quelli di Forza Italia ai Democratici Riformisti i quali a loro volta avevano detto “la nostra è più bella” di quella dei “4 single” (Russo, Sindoni, Scuderi, Zuccarello), che infine avevano detto “la nostra è più bella” ad Adamo (che non a caso è infatti il primo uomo). E’ tutto un litigio, con i forzisti che dicono: “il notaio non ci piace perché ha i capelli neri e a noi piacciono biondi, quella dei Dr non ci piace perché se no vuole comandare Picciolo e noi sta soddisfazione non gliela diamo”. Gli unici coerenti sono i Pd, con Carbone che dichiara “siamo alleati leali dell’amministrazione”. Ed è vero, è grazie al Pd che sono passati in consiglio comunale tutti gli atti, una sorta di retribuzione karmica per Accorinti che contestava i genovesiani ma amministra e amministrerà grazie a loro. Carbone non ha preso un abbaglio, perché il comunicato mandato dal Pd venerdì (sia pure senza firme) conferma l’alleanza leale al punto da far pensare un prossimo ingresso in giunta tra Perna e Ialacqua di Paolo David. Questa posizione dei Pd ha fatto tirare un sospiro di sollievo a quei consiglieri che la sfiducia non la vogliono e non cambierebbero idea neanche se per l’invasione di cinghiali, topi, rifiuti e per l’emergenza idrica sbarcassero dopo l’esercito persino le truppe dell’Onu. Sai perché caro diario? Perché mentre Messina era in ginocchio per l’acqua si sono tenute sedute di commissione anche brevissime, pur di recuperare i gettoni di presenza persi nei giorni degli uffici chiusi.

Ma i messinesi sono come gli abitanti di Macondo quando arrivò Rebeca, bellissima ma senza memoria, che contagiò la malattia a tutti in paese e alla fine furono costretti a mettere i bigliettini con i nomi delle cose per ricordarli. Noi, quando tornerà l’acqua nei rubinetti saremo tutti figli di Rebeca e avremo dimenticato i nomi delle cose e dei fatti, i nomi dei responsabili e dei complici, degli indifferenti e degli ignavi. E quando arriverà la bolletta Amam troveremo un post it con scritto “pagala” invece di quella che dovrebbe essere la frase corretta: VERGOGNA.

Rosaria Brancato