Il viaggio della morte dalla Libia a Messina, le testimonianze dei sopravvissuti

Col fermo di cinque persone per la strage di migranti, la Squadra mobile di Messina ha ricostruito l’odissea delle centinaia di migranti che hanno viaggiato sul barcone intercettato dalla petroliera Torn Moll, accostata a Messina domenica scorsa. I racconti dei sopravvissuti ospitati alla Pascoli hanno permesso di individuare i responsabili di una luna serie di decessi avvenuti durante la traversata.

Sarebbero almeno una sessantina le persone morte durante il viaggio del barcone partito dalle coste libiche, poco lontano da Tripoli, il 17 luglio pomeriggio e diretto a Lampedusa. I fermati sono due marocchini, un siriano, un palestinese ed un arabo. Sono accusati dell’omicidio di almeno 5 persone.

Alla partenza il barcone è salpato con almeno 700 persone delle più svariate provenienze: palestinesi, ganesi, malesi, eritrei, libici, siriani. I primi erano alloggiati sul ponte, probabilmente erano riusciti a pagarsi il posto migliore, tra i mille e i 2 mila dolllari, mentre gli africani sono stati ammassati nella stiva; avrebbero pagato tra i 100 e i 300 dollari. Troppi perché prestissimo non scoppiasse il caos.

Quelli alloggiati in alto, dove nel frattempo un gruppetto di uomini, con l’accordo degli scafisti, ha preso il “comando”, hanno chiuso il boccaporto e tolto la scaletta, isolando gli africani ammassati nella stiva.

Dopo qualche ora l’aria nella stiva ha cominciato a rarefarsi, e qualcuno ha premuto per uscire, guadagnandosi botte e coltellate da quelli più in alto. Non è escluso che qualcuno sia caduto in acqua e annegato, altri sarebbero morti accoltellati per evitare che si guadagnassero l’aria aperta sul ponte.

Nel caos e nella paura che si diffondono, il monossido di carbonio nella stiva comincia ad asfissiare i più cagionevoli. Nella notte, in acque maltesi, il barcone viene agganciato dalla petroliera Torn Moll e dalle autoritá maltesi, che parlano di 18 cadaveri nella stiva. Dei loro resti, però, le autorità italiane non hanno ancora traccia.

E’ in queste concitate fasi che il bimbo arrivato cadavere a Messina perde la vita: il peschereccio sovraffollato si appoggia alla enorme petroliera, lo scafo si rompe e comincia ad imbarcare acqua, il piccolo viene strappato dalle braccia della madre e buttato in acqua, forse nella speranza che venga recuperato. Il piccolo perô non ce la fa, e torna in grembo alla mamma, sulla petroliera, ormai senza vita. La donna lo ha tenuto stretto a sé per diverse ore, fino a quando qualcuno, forse il personale della petroliera, ha adagiato il cadavere in una cella frigo. A Messina, gli agenti lo hanno sbarcato chiuso nella piccola bara bianca.

Dei circa 500 sopravvissuti sbarcati a Messina, due sono ora stati inseriti nel programma di protezione riconosciuto ai migranti che testimoniano contro i responsabili della tratta di uomini.