La riflessione

Emanuele Macaluso: la lezione del migliorismo

Quando muore un protagonista politico si soffre sempre. Emanuele Macaluso è stato questo per l’Italia repubblicana: un protagonista. Cresciuto nelle miserie della povertà siciliana degli anni ’30, nelle miniere di zolfo della vecchia Caltanissetta, lotta tutta una vita per l’emancipazione della classe lavoratrice. È un militante cocciuto e illuminato. Vuole combattere e capire, quindi studiare. Perché non si possono capire le condizioni delle persone, il loro retroterra culturale, le prospettive di miglioramento, se prima non si approfondiscono le circostanze storiche che hanno maturato la situazione sociale del presente. Teoria e pratica. Macaluso studia i classici da autodidatta, perché non ha le possibilità economiche per fare delle scuole diverse da quella di avviamento al lavoro e da quella mineraria, ma legge continuamente, diventando ben presto un fine intellettuale e un prolifico saggista. Intellettuale in quanto politico, e politico in quanto intellettuale. Sono caratteristiche di una classe dirigente che si sente parte integrante di un corpo, il Partito, che deve essere nutrito non solo con la lotta e le rivendicazioni, ma anche con la cultura. Nel Pci si dibatte, ci si contrappone, ma prima ancora si analizza e si approfondiscono le piaghe della società. Le biblioteche delle sezioni sono strumenti essenziali per l’emancipazione delle classi operaie e lì dentro, tra compagni, ci si forma e si migliora.

Migliorare è il verbo che accompagna la vita di Macaluso, che si definisce “migliorista” nel senso più positivo del termine. Prendendo spunto dalle leghe per il miglioramento delle condizioni di vita di operai e braccianti, il migliorismo segna una strategia politica concreta e difficile, che in alcuni casi si scontra con altre posizioni più lontane dentro lo stesso partito. Una lotta, nel solco dell’identità comunista, per un riformismo che è sinonimo di gradualità dei cambiamenti economici e sociali, perché nell’Europa occidentale non si può passare dal capitalismo al socialismo in un battito di ciglia. Bisogna, al contrario, difendere la via della democrazia progressiva, come insegna Togliatti, sostenendo la Costituzione e le procedure parlamentari, mantenendo vivo l’orizzonte della trasformazione della società. Naturalmente non si può prescindere dal rapporto con le persone, con cui si discute nelle sezioni, ci si confronta sulle riviste, sui giornali e nelle piazze. I partiti come strumenti della democrazia che si organizza, ma che, oggi, mancano o sono deboli, come deboli sono la società contemporanea e le persone che ci vivono dentro. Anche per questo motivo “Em.ma” (come amava firmarsi) non smette di scrivere e pubblicare, continuando così a dare il proprio contributo alla battaglia per la difesa dei più deboli, che è ancora tutta da compiere.

Guardare oltre le polemiche immediate, o le immediate interpretazioni dei problemi, è difficile. Scavare a fondo, scoprire che c’è sempre dell’altro oltre la superficie, è un compito che solo chi è dotato di una certa lucidità può portare a termine. Ecco perché le riflessioni di Macaluso sono importanti. Perché si può anche non essere d’accordo con ciò che ha scritto, o che ha detto, ma non si può negare la profondità del pensiero che tocca i nervi scoperti della realtà in cui siamo immersi. E con quella realtà ci sprona a fare i conti.

Una profondità di pensiero a volte mascherata da tattica, come nel caso dell’operazione Milazzo, che ancora oggi si studia nelle aule universitarie. Alla fine degli anni ’50, il Pci siciliano guidato proprio da Macaluso sostiene una giunta capitanata dall’ex Dc Silvio Milazzo e appoggiata da socialisti, alcuni dissidenti democristiani e dalla destra locale. Diventa subito un caso nazionale perché, con quella mossa, non solo si tenta di sottrarre il governo della regione allo strapotere democristiano, ma si colpisce molto più a fondo, portando avanti una lotta di sistema. Il Partito comunista, infatti, organizza le forze politiche di massa, estranee alla Democrazia cristiana, contro il tentativo dei monopoli di creare delle “cattedrali industriali nel deserto”. In quel periodo, grandi gruppi economici non siciliani decidono di investire nella “trinacria” senza pensare di coinvolgere la borghesia locale, le classi intermedie o di promuovere la rete di investimenti sulle infrastrutture, essenziali per il collegamento della cittadinanza. Un modello molto simile al colonialismo terzomondista. Macaluso e la classe dirigente locale (col sostegno di Togliatti) si oppongono a questa scelta, dimostrando che, prima dell’azione politica e alla base di essa, è sempre necessaria una profonda analisi economico-sociale della realtà data e delle prospettive di sviluppo.

Di “Em.ma” resterà per sempre vivo l’insegnamento della questione sociale come punto di partenza di tutte le battaglie. Pietra miliare di una sinistra che, se non pensa al lavoro e alle prospettive di miglioramento delle condizioni dei lavoratori, semplicemente non ha senso di esistere. La sua figura rappresenta una politica che, ben prima di diventare campagna elettorale, si esprime come comunità, come rapporto tra le persone che scambiano critiche, magari durissime, ma che si riconoscono in un nucleo di valori comuni cui tendere insieme anche nella differenza delle opinioni. Ha sempre difeso e sostenuto il valore del confronto politico, che è stato quasi abbandonato da una democrazia priva dei partiti di massa.

Macaluso è stato un uomo di sinistra. Un uomo libero che ha contribuito a migliorare le condizioni di vita delle persone e che ha difeso e implementato la democrazia parlamentare. A chi resta su questa terra, e si riconosce nella lotta per il riscatto degli ultimi, spetta il compito di declinare in chiave moderna i valori che hanno ispirato tutta la sua vita. (Federico Micari)