La vera storia della Crociata per il cero votivo: i 5 giorni che sconvolsero Messina

Premessa: trovo assurdo che in una città che affonda scoppi un caso come quello del cero votivo con toni e modi che fanno pensare che non ci siano altri problemi. Nessuno dei protagonisti ha saputo affrontare la vicenda con il giusto senso della misura. A noi non resta che prenderla con ironia…..

Era il 2014 d.C. ed alla vigilia del ponte della Madonna della Lettera, Patrona della città, scoppiò in riva allo Stretto un putiferio, un sisma politico-religioso di dimensioni epocali, una rivoluzione del popolo oppresso. Mentre i rifiuti sommergevano strade e piazze nonostante i superman (superpagati) venuti dal freddo, mentre l’Atm arrancava, la Corte dei Conti affamava il popolo con divieti, minacce di dissesto e moniti sui Patti di Stabilità, i disoccupati assediavano il Palazzo e i vecchietti venivano deportati da Casa Serena, scoppiò la rivolta del cero votivo. Improvvisamente Messina si divise in guelfi e ghibellini, templari e musulmani, armati fino ai denti per difendere un oltraggio di tale portata che se al confronto Accorinti avesse aperto le porte alle truppe di Saraceni ed Ottomani sarebbe stata considerata un’inezia. Per quasi una settimana la città fu in subbuglio, non si parlò d’altro, con un accanimento tale da far pensare che: o si era perso il senso delle cose e della misura, o Messina non aveva alcuna emergenza o problema. Anzi, la conquista della Lega Pro e la retrocessione della Reggina dalla serie B e del Catania dalla serie A, avevano cancellato gli ultimi patimenti del popolo che poteva quindi dedicarsi a nuove battaglie ed a quella che passerà alla storia ed al mito come la Crociata in difesa del cero votivo.

In quei giorni, si era a fine maggio, le temperature volgevano al tiepido, e l’ultimo baluardo della cristianità messinese, Libero Gioveni, scoprì un fattaccio: il perfido Accorinti, con la complicità della Corte dei Conti che aveva posto il divieto alle spese di rappresentanza, non era affatto intenzionato a donare il cero votivo alla Madonna di Montalto, tradizione che si ripete dal 1745, anno del Decreto del Senato messinese che volle così ringraziare la Madonna per aver salvato la città dalle peste del 1743. Così il consigliere comunale,come un novello Dina e Clarenza andò a suonare le campane del Duomo per allertare la città dell’imminente invasione laico-buddista, pronta a cancellare con un colpo di penna dal bilancio comunale tradizioni e fede. Di lì a poco, Accorinti avrebbe sicuramente acquistato per sè tutte le rose di Santa Rita, che come è noto è la Santa delle cose impossibili, ed alla giunta quelle rose sarebbero servite come il pane. Occorreva correre ai ripari prima che fosse troppo tardi. Gioveni dunque suonò le campane chiamando a raccolta i messinesi oltraggiati. Lì per lì il popolo pensò: la diatriba si risolverà presto, qualcuno metterà mano al portafoglio, magari nell’anonimato, per trovare gli 80 euro necessari, e la vicenda si chiude. Magari gli assessori mettono 8 euro a testa, o i consiglieri 2 euro a persona, o la Curia, o i deputati. Invece no, la scintilla ormai era scoppiata e il Rubicone oltrepassato. Decine di messinesi che non andavano alla processione del Vascelluzzo dai tempi della loro Prima Comunione, terrorizzati dall’invasione laica, ripresero dall’armadio i vestiti da chierichetti e si dissero pronti ad unirsi alla Crociata contro il sindaco buddista che spende e spande per gli esperti e lascia la Madonna senza il cero. Del resto è noto a tutti sin dai tempi di Siddharta che i buddisti sono guerrafondai e godono nel boicottare le festività altrui con ogni mezzo. Ma se Gioveni suonò le campane Accorinti non fu da meno e cadde nella trappola. Invece di dire: “I soldi li metto io e chiudiamola qui perché abbiamo cose ben più gravi e serie a cui pensare”, iniziò a ripetere nelle sue interviste ormai quotidiane la filastrocca “colpa dei vecchi amministratori”. Che sarà pure vera, ma a sentirla ogni giorno per un anno di fila è diventata una ninna nanna. Ormai era troppo tardi, nei bar, negli uffici, nelle case, serpeggiava la paura come quando si temette che l’isola pedonale non si sarebbe potuta fare. Come faremo senza il cero? Cosa accadrà di noi se apriamo il varco a queste nefandezze? Il rischio era serio, prima o poi questa giunta avrebbe disseminato di buche tutto il percorso della Vara, per rendere la processione un inferno. E chissà che altro stavano escogitando per attentare alle tradizioni. Si doveva correre ai ripari. Mentre in città i messinesi si sfidavano a duello via Facebook tra pro-ceristi e pro-ci-sono-cose-più-importanti qualcuno suggerì di convocare un tavolo tecnico per risolvere l’annosa questione. Nell’elenco degli invitati al tavolo tecnico furono inseriti: i componenti della giunta, i dirigenti, i revisori dei conti (per capire le conseguenze dell’esorbitante spesa sul bilancio) i consiglieri comunali, i maestri artigiani cerai, gli storici e i cultori delle tradizioni per evitare futuri incidenti diplomatici, Cgil, Cisl e Uil in rappresentanza dei lavoratori del settore, (l’ Orsa no perché è notoriamente comunista e miscredente e non ha mai partecipato alla firma del contratto nazionale lavoratori del cero e affini), nonché tutti gli ex sindaci che nei decenni trascorsi hanno rispettato la tradizione, in modo da fornire eventuali consigli. Per i sindaci deceduti si decise di ammettere al tavolo gli eredi in linea diretta. Insomma, un tavolo tecnico così perfetto non si vedeva dai tempi di Mastro Geppetto. L’imperativo fu: rispettare la tradizione nel solco di quanto fatto dagli amministratori e riparare all’errore di Accorinti che l’aveva interrotta. Per fortuna Accorinti ne ha interrotte molte altre di vecchie tradizioni che gli ex amministratori si tramandavano, ma questa storia del cero era a dir poco imperdonabile.

Mentre era in corso il tavolo tecnico, Renzi, che aveva saputo del mancato dono del costo di 80 euro, non esitò un attimo, e twettò: #staiserenoLiberoilcerolocomproio. Il Presidente del Consiglio si dichiarò anche pronto a modificare il decreto sugli 80 euro per inserire anche i Comuni vittime della Corte dei Conti ed impossibilitati a donare ceri votivi.

Intanto lungo le vie cittadine qualcuno iniziò a raccogliere firme per una nuova petizione alla Madonna di Montalto. Già, perché in fondo, se è intervenuta per ben due volte miracolosamente, prima nel 1282 durante l’assedio di Carlo D’Angiò, inviando il Vascelluzzo colmo di viveri, poi nel 1743 per salvarci dalla peste, a maggior ragione potrebbe intervenire adesso che non siamo messi affatto meglio. Il lieto fine comunque ci sarà e le cronache narreranno del Corpus Domini del 12 giugno come di un evento con una partecipazione straordinaria e mai registrata prima. Tutto esaurito, anche i posti in piedi, con centinaia di messinesi che si sono risvegliati Templari dopo anni di amnesie, i 40 consiglieri comunali per la prima volta tutti presenti, vestiti di tutto punto nonostante i 35 gradi, ricordando i bei tempi quando gli altri sindaci donavano il cero e nessuno doveva ergersi a difensore dei valori cristiani, restando sereno in panciolle sulla spiaggia. Fuori dalla Chiesa solo qualche cartellone contro “Accorinti tirchio”, “Accorinti go in Tibet” e via dicendo. Nel frattempo, per non creare ulteriore panico e rovinarci definitivamente l’estate in una guerra casa per casa, l’assessore Perna ha rassicurato tutti: i soldi per la Vara ci sono. Meno male.

I messinesi sono così, non importa se la città muore, se siamo alla fame e senza lavoro, basta che venga rispettata la tradizione e, soprattutto, la forma.

Rosaria Brancato