Spettacolo di danza al Teatro antico di Tindari

I tre autori del lavoro usano un linguaggio a volte scabro e furente, quando non ossessivo, ma la linea di movimento sposata risulta “poetica” e ritmica.
La scena, abitata da oggetti che rimandano subito all’idea dello “spostamento”, è gremita all’inizio da una folla di viaggiatori ed è questo il leitmotiv del lavoro, che non pretende di raccontare alcuna storia, se non la necessità del “viaggio”, dell’apertura all’altro che, su un filo conduttore fatto di motion, ci rapisce per guidarci nel giardino interiore del gesto. La coreografia, pur essendo complessa e cesellata, è tuttavia chiara, netta, fluida e leggibile. I danzatori alternano con facilità e apparente indifferenza combinazioni sequenziali, talvolta per tutto il complesso, talvolta per piccoli gruppi, con qualche frammento di “assolo” mai banale, attraverso canoni e contrappunti, mentre la musica, mai invasiva, colora di un mood dolcemente malinconico le “frasi” di movimento ora acquatiche, ora aeree, ora terrestri. Gli interpreti costituiscono la forza di questa interessante composizione, perché ci comunicano tutto il loro piacere di danzare, con una qualità cool tipica della danza contemporanea migliore. Le luci disegnano e definiscono insieme alla coreografia uno spazio che percepiamo “aperto”, mentre i video giocano sullo straniamento fra “interno” ed “esterno”. Durante questo “viaggio” assume un particolare significato la presenza del Maestro violinista Igal Shamir pilota di caccia, musicista e scrittore che con le sue melodie ha permesso ai giovani danzatori di esplorare nuove strade.