E’ Giuseppe Zaccone il vincitore del “Pagghiaru” 2012: un rito che sopravvive

E’ Giuseppe Zaccone il vincitore del “Pagghiaru” 2012: un rito che sopravvive

ELENA DE PASQUALE

E’ Giuseppe Zaccone il vincitore del “Pagghiaru” 2012: un rito che sopravvive

Tag:

domenica 08 Gennaio 2012 - 23:50

Il ragazzo di Bordonaro, è riuscito a toccare per primo la croce ricoperta di arance e ciambelle di pane azzimo. Tanti gli spettatori presenti in piazza Semiramide e nelle strade limitrofe che non hanno perso il tradizionale appuntamento dell’epifania, spostato a domenica a causa del maltempo

Il brivido dell’attesa si consuma in meno di trenta secondi: quelli necessari ai velocissimi scalatori per giungere in cima al Pagghiaru: uno solo di loro sarà il vincitore e come tale verrà acclamato dalla folla che ai piedi del grande albero attende di essere “rifornita” del ben di Dio di cui l’arbusto è ornato: agrumi, salsiccia, pane azzimo. Ad aggiudicarsi l’edizione 2012 è stato Giuseppe Zaccone, 22 anni, di Bordonaro. Il giovane Giuseppe, rapido come un furetto, è riuscito a battere i suoi 10 avversari toccando per primo la croce poggiata sulla chioma verde realizzata dall’intreccio di rami d’albero. «E’ la seconda volta che partecipavo – dice il ragazzo – l’anno scorso sono arrivato terzo». Basta osservare un istante i suoi occhi per capire che l’emozione provata nel momento in cui ha dominato piazza Semiramide (dove è collocato il Pagghiaru) Giuseppe non la dimenticherà più. Per lui non è il premio finale, (un piccolo contributo in denaro, che quest’anno sarà veramente irrisorio) ad essere importante, bensì il fatto di rimanere negli “annali” del Pagghiaru, tradizione importata in epoca bizantina dai monaci basiliani e da allora sempre mantenuta.

Ad eccezione di qualche anno: «Una ventina di anni fa – ricorda Santino Galletta, componente della Confraternita Maria SS delle Grazie, di cui è governatore Giuseppe Gugliandolo – la tradizione è stata interrotta. Fu padre Giuseppe Regazzoni a reintrodurla. Un tempo i partecipanti erano 14, uno in rappresentanza di ciascun casale, poi questo “vincolo” è venuto meno. Quest’anno ad esempio gli iscritti (iscrizione gratuita, ndr) sono stati solo undici». Meno iscritti ma sempre piene le strade del villaggio che portano al “cuore” della manifestazione, dove al vociare degli spettatori si unisce il suono degli zampognari che quest’anno, per via delle ristrettezze economiche, pur non avendo ricevuto alcun compenso non hanno voluto mancare l’appuntamento. Così come non si è tirato indietro, anche in questo caso ricevendo un contribuito “simbolico”, Domenico Gugliandolo, coordinatore di tutte le fasi di lavoro per il montaggio del grande albero: «E’ una tradizione di famiglia che ci portiamo dietro da 22 anni, quello che faccio oggi lo ha fatto mio padre, il padre di mio padre e così via».

Il primo passo è la raccolta dei rami, che avviene sui Monti Peloritani, da utilizzare per la costruzione del Pagghiaru; successivamente in progressione si erge il palo e si costruisce la “cruciera”, che consiste nella grande ruota composta da due cerchioni di ferro dove vengono fermati, a doppia croce quadra, dei tronchi d’albero. Si prosegue con l’innalzamento della cruciera e con la costruzione del fasciame, intrecciato secondo antiche tecniche. Passaggi delicati ma negli anni rodati e raffinati, che permettono, ad ogni edizione, di migliorarne sempre più la struttura, che inizialmente veniva fatta poggiare a terra e non era sorretta da nessun palo.

A dare il via alla competizione, dopo la benedizione dei partecipanti che avviene all’interno della Chiesa di Santa Maria delle Grazie, un colpo di mortaio: inizia lo spettacolo, ciascun partecipante viene spinto sulla chioma da tre amici che da sotto lo sorreggono e gli danno lo slancio, poi via verso la cima dell’albero. Tutto intorno sono urla di incitazione, dalla strada, dalla piazza, dai balconi che affacciano sulla piazza, da dove si ha quasi l’impressione di poterli toccare gli intrepidi scalatori. Un mix di voci, colori, tradizioni, che ributtano in un’atmosfera d’altri tempi. Dopo aver “espugnato la fortezza”, i partecipanti lanciano alla folla agrumi e pane azzimo, “spogliando” pian piano la chioma del Pagghiaru. Ci si sposta quindi in piazza, dove si assiste all’ultimo tradizionale spettacolo, “il cavadduzzu e l’omu sabbaggiu”: una pantomima pirotecnica, dove due uomini si collocano dentro strutture di legno che rappresentano un animale e un uomo con appesi mortaretti e fiaccole, che pian piano esplodono in luci e colori, che vanno a confondersi con lo spettacolo finale dei fuochi d’artificio. La festa continua per le vie e nelle case dei tanti abitanti di un villaggio dove storia e riti secolari si intrecciano. Basta però percorrere qualche chilometro ed ecco che l’incantesimo svanisce: perché i casermoni gialli fanno ripiombare nella triste realtà di una città dove la bellezza delle tradizioni non riesce purtroppo a superare lo squallore del degrado. (ELENA DE PASQUALE)

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta
Tempostretto - Quotidiano online delle Città Metropolitane di Messina e Reggio Calabria

Via Francesco Crispi 4 98121 - Messina

Marco Olivieri direttore responsabile

Privacy Policy

Termini e Condizioni

info@tempostretto.it

Telefono 090.9412305

Fax 090.2509937 P.IVA 02916600832

n° reg. tribunale 04/2007 del 05/06/2007